Donald Trump, Giuseppe Conte e X Jinping (elaborazione grafica Il Foglio)

C'è un filo rosso che collega i dossier Venezuela, Cina e Italia

Giulia Pompili

Il diplomatico americano incontrerà il consigliere di Conte, Pietro Benassi, che dovrà spiegare i motivi dell’adesione alla Via della Seta

Roma. Notizie apparentemente scollegate meritano in questi giorni un’attenzione particolare. Ieri la capitale è stata al centro di un vertice importante tra Russia e America: il rappresentante speciale americano per il Venezuela, Elliott Abrams, è arrivato a Roma per incontrare il viceministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov. L’appuntamento era programmato già da una settimana, e sul tavolo ufficialmente c’è la gestione della crisi in Venezuela: Mosca vuole fermare il supporto americano all’opposizione dell’autoproclamato presidente Juan Guaidó, e l’incontro dovrebbe allentare le tensioni con Washington e allontanare la possibilità di un confronto armato. Ma secondo lo scarno comunicato diffuso dal Dipartimento di stato americano, oltre ai funzionari russi, nella sua due giorni romana Abrams incontrerà anche “funzionari italiani, compreso il consigliere diplomatico del presidente del Consiglio, Pietro Benassi”. Secondo due diverse fonti diplomatiche sentite dal Foglio, l’arrivo in Italia del diplomatico repubblicano Abrams – nominato dal segretario di stato Mike Pompeo il 25 gennaio scorso per gestire la questione venezuelana – ha a che fare anche con un altro dossier: quello cinese. 

 

L’alleanza sovranista è visibile su molti dei recenti dossier internazionali. Il regime del presidente venezuelano Nicolás Maduro è appoggiato dalla Russia, dalla Turchia e soprattutto dalla Cina. Il migliore amico di Maduro infatti si trova a Pechino, che difficilmente tradisce la sua tradizionale politica di “non interferenza” negli affari interni dei paesi stranieri, soprattutto quando un possibile mutamento del governo danneggia i suoi interessi. Sin dal 2014, cioè dalla prima visita di stato del presidente Xi Jinping a Caracas, Cina e Venezuela hanno iniziato un rapporto di interdipendenza: Pechino presta soldi – tanti soldi – a chi ne ha bisogno, in cambio di petrolio. L’accordo è tra i due leader, quindi è facile immaginare che l’arrivo di Juan Guaidó a Caracas potrebbe rappresentare una perdita notevole per la Cina. Su questo dossier, Italia, Irlanda, Grecia e Slovacchia sono gli unici quattro paesi dell’Ue a non essersi uniti agli altri nel riconoscere la presidenza ad interim di Guaidó. Di questi quattro paesi, almeno tre hanno tutto l’interesse a seguire il principio di non interferenza cinese: Bratislava ha firmato il memorandum of understanding sulla Via della Seta con la Cina nel 2015, Atene lo ha fatto nel 2018. L’Italia a gennaio era nel pieno della pressione diplomatica e dei negoziati in vista di una possibile firma di adesione alla Via della Seta, pena l’annullamento della visita di stato di Xi Jinping a Roma.

 

L’Italia del governo gialloverde ha preso una strada confusa e senza una vera posizione sul Venezuela, forse per non scontentare nessuno. Come per l’adesione alla Via della Seta, anche nel caso dello scontro Maduro-Guaidó vari esponenti politici hanno dato altrettante versioni della posizione italiana, con il risultato però che il nostro paese non è riuscito a dare alcun messaggio agli alleati all’infuori di questo: stiamo con la Cina. E recentemente accade sempre più spesso.

 

L’aspetto più interessante dell’arrivo in Italia di Elliott Abrams riguarda proprio il filo rosso che unisce i dossier: dopo anni in cui l’intero sforzo diplomatico di Washington era finalizzato a cercare l’influenza russa in qualunque vicenda, finalmente ha capito che l’internazionale sovranista potrebbe essere molto più influenzata dalla Cina di quanto si pensi. Qualche giorno fa il Messaggero scriveva che Benassi “avrebbe ottenuto dall’ambasciatore americano Lewis Eisemberg ‘la conferma che per gli Usa la Nuova via della Seta non è un problema’”. Oggi però Benassi dovrà convincere anche il falco della diplomazia di Donald Trump dei motivi che spingono Palazzo Chigi a sostenere l’adesione dell’Italia a un progetto globale d’influenza strategica cinese.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.