Justin Trudeau (foto LaPresse)

L'azienda che sta facendo tremare Trudeau e la maledizione libica

Maurizio Stefanini

Lo scandalo della SNC-Lavalin e le storie incrociate tra Al Saadi Gheddafi e il primo ministro canadese

Roma. La maledizione di Al Saadi Gheddafi rischia di travolgere Justin Trudeau. Il governo canadese ha già perso tre pezzi a causa dello scandalo legato alla SNC-Lavalin, una società di ingegneria che tra il 2001 e il 2011 avrebbe pagato 31,7 milioni di euro in tangenti al terzogenito calciatore del defunto dittatore libico e ad altri esponenti del suo regime. Con i suoi novemila dipendenti in Canada (50.000 in tutto il mondo) l’azienda è un simbolo industriale soprattutto per il Quebec, chiave delle elezioni politiche in agenda entro il prossimo 21 ottobre. Se la SNC-Lavalin fosse dichiarata colpevole, le sarebbe vietato partecipare a licitazioni pubbliche per i prossimi dieci anni. Secondo l’accusa, proprio per evitare queste conseguenze, il premier Trudeau avrebbe fatto “pressioni inappropriate” al ministro della Giustizia, Jody Wilson-Raybould che, dopo essere stata trasferita il 14 gennaio agli Affari dei veterani, ha preferito ridiventare un semplice deputato senza incarichi ministeriali. Poi si è dimesso anche General Butts, principale consigliere di Trudeau e amico da molti anni, e infine, lunedì, il ministro del Bilancio, Jane Philpott.

 

La stampa internazionale traccia i ritratti incrociati dei due figli d’arte, Trudeau e al Saadi. Il figlio di uno dei più popolari premier canadesi è uno dei politici più iconici d’occidente: 47 anni, liberale, fotogenico, sulla spalla sinistra il tatuaggio di un corvo ispirato allo stile della tribù di quei nativi canadesi Haida della quale la famiglia Trudeau è membro onorario dal 1976, abile pugile, capace di affrontare Trump e nello stesso tempo fermo verso l’involuzione autoritaria in Venezuela, progressista, affabile, femminista, era stato definito “il primo ministro perfetto”. Il terzogenito calciatore del rais era invece un personaggio un po’ comico. In Libia era stato capitano della nazionale e miglior giocatore del campionato grazie al fatto che gli avversari si scansavano al suo passaggio; ma in Italia con Perugia, Udinese e Sampdoria aveva fatto in tre anni due partite, prendendosi tre mesi di squalifica per doping e l’ironico soprannome di “Alzati Gheddafi”, per il fatto che stava sempre in panchina. Però era influente. Nel 2006 aveva cercato di creare una “Hong Kong libica”, e in seguito aveva provato a produrre film western. Fuggito in Niger dopo la caduta e uccisione del padre, è stato estradato in Libia nel 2014 ed è tuttora in carcere.

 

Lo scandalo canadese è saltato fuori all’inizio di febbraio, quando il Globe and Mail ha riferito che “l’ufficio del primo ministro” avrebbe fatto “pressioni inappropriate” sul procuratore generale in favore di un “accordo extragiudiziario”, in modo da risolvere tutto con una semplice multa. A novembre contro la SNC-Lavalin è iniziato un procedimento su cui pende un ricorso. La Wilson-Rayboud dice di aver ricevuto tra settembre e dicembre “una pressione costante e sostenuta da parte del governo”, con “minacce velate”. Tra gli autori delle minacce ci sarebbe Butts, che si è dimesso a sua volta. Jane Philpott ha spiegato via Social che “sfortunatamente l’evidenza degli sforzi di politici e funzionari per far pressioni” sul ministro della Giustizia le avrebbe provocato “serie preoccupazioni”.

 

“La mia squadra e io abbiamo sempre agito in maniera appropriata e professionale”, dice Trudeau. “Sono totalmente in disaccordo con la descrizione fatta dall’ex ministro della Giustizia. Abbiamo difeso e protetto posti di lavoro in Canada, ma sempre rispettando le norme”. La Wilson-Rayboud ammette che le pressioni sarebbero state “inappropriate ma non illegali”, però il leader conservatore Andrew Scheer chiede un’indagine giudiziaria e le dimissioni del premier: “Ha perso l’autorità morale per governare”.

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