Orbán in sette manifesti

Il primo ministro ungherese ha abituato la sua nazione a uno stato di campagna elettorale permanente e i cartelli contro i suoi nemici hanno un ruolo importantissimo

La mania di Viktor Orbán per i cartelloni dura da anni. Durante la sua ultima campagna elettorale i suoi oppositori dicevano che alla fine c'erano più cartelloni antimigranti che migranti. Nel 2016 il suo partito, Fidesz, aveva organizzato un referedum per chiedere agli ungheresi: "Volete o no che l' Unione europea imponga a ogni suo paese membro quote di ripartizioni di migranti, senza consultare il governo e il Parlamento nazionali e sovrani magiari?". La consultazione non raggiunse il quorum, ma le città si riempirono comunque di manifesti. Altro protagonista della scorsa campagna elettorale permanente è George Soros, miliardario di origini ungheresi, accusato da Orbán di ordire un complotto contro la cristianità. Ultimo bersaglio è stato Jean-Claude Juncker, il presidente della Commissione Ue, e questa volta l'Europa non l'ha presa bene. Soprattutto Il Partito popolare europeo non sembra più disposto a tollerare le campagne con Bruxelles. Si riunirà il 20 marzo e dovrà decidere se tenere dentro Fidesz o se cacciarlo. Gli altri populisti, soprattutto dall'Alleanza dei conservatori e riformisti europei, lo stanno già aspettando. 

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