Vladimir Putin tiene il discorso sullo stato della nazione (Foto LaPresse)

Trump è uscito dal trattato, e in Russia è tutto un parlare di nucleare (pure in chiesa)

Micol Flammini

Media impazziti, missili irreali e la Guerra Fredda che non c’è

Roma. Da quando gli Stati Uniti hanno deciso di ritirarsi dal trattato sui missili nucleari a medio raggio, la Russia è impazzita. Ci si sarebbe aspettati una calma sorniona, ammantata da un velo di vittimismo. Ci si sarebbe aspettati un filo di astuzia, l’occasione di alzare il dito in modo accusatorio e poter ripetere “è colpa di Trump”. Da quando Mike Pompeo ha annunciato il ritiro ufficiale dal trattato del 1987 che il presidente americano definiva “obsoleto”, la Russia non fa altro che parlare di guerra nucleare. Ne ha parlato anche Vladimir Putin quando la scorsa settimana, durante il discorso sullo stato della nazione, ha promesso armi nucleari, missili ipersonici pronti a colpire gli Stati Uniti. “La Russia – ha detto il capo del Cremlino – non ha intenzione di dislocare per prima i missili. Se l’America disporrà i suoi razzi in Europa” allora Mosca risponderà. In quell’occasione Putin ha promesso un grande rilancio delle infrastrutture militari, e i media russi hanno reagito con il solito slancio.

 

Dmitri Kiselev, il conduttore delle reti di stato, famoso per le sue trasmissioni propagandistiche, ha subito spiegato in tv come Mosca ha intenzione di colpire i suoi obiettivi, soprattutto americani, ha parlato di un piano per posizionare i sottomarini russi al largo delle coste americane se gli Stati Uniti dovessero posizionare i missili nucleari in Polonia, a due passi dalla Russia. “Per il momento – ha detto Kiselev domenica sera durante la sua trasmissione Vesti Nedeli – non attaccheremo nessuno, ma se ci sarà un dispiegamento, la nostra risposta sarà immediata”. Qualche anno fa lo stesso conduttore aveva detto che Mosca è pronta a ridurre gli Stati Uniti in un cumulo di cenere nucleare e durante il suo programma ha anche fatto intervenire diversi spettatori e commentatori che consigliavano al Cremlino di lasciar perdere i carri armati, le pistole o le bombe e di concentrarsi sulle armi nucleari. Ma non tutti i russi hanno accolto con favore questa follia mediatica, qualcuno sui social ha notato che forse sarebbe il caso di lasciar perdere le guerre e di investire in scuola, sanità o nei palazzi che vanno a fuoco. Le parole di Vladimir Putin e dei suoi media hanno avuto più un impatto interno che esterno. Mentre fuori inizia a percepirsi un po’ di stanchezza per queste minacce sproporzionate: è da un anno che il presidente russo promette ritorsioni con armi irreali, e i commentatori internazionali hanno ormai dismesso l’eccessivo allarmismo. Putin si mostra per quello che è: un leader importante, a capo di un paese che ha una grande potenza militare, ma anche un po’ spaesato. Sta lavorando sull’impatto interno, il presidente vuole stringere i russi attorno a sé con la paura e il ritiro degli Stati Uniti dall’Inf potrebbe aiutarlo.

 

 

Lo scorso fine settimana la Russia ha celebrato “Il giorno dei difensori della patria”, una di quelle ricorrenze nazionali festeggiate con parate e canti. Nella cattedrale di Sant’Isacco a San Pietroburgo è stata eseguita una canzone degli anni Ottanta, dall’inconfondibile sentore di Guerra fredda. Il tema del canto è la guerra nucleare e la felicità che genera nel cuore dei soldati russi la possibilità di annientare gli Stati Uniti. “Su un sottomarino con una dozzina di bombe, attraversato l’Atlantico grido al mitragliere: ‘Mira alla città di Washington!’”, dice una delle strofe principali. Lo sforzo di convincere i russi a tornare indietro e sentirsi immersi in una nuova-vecchia atmosfera da Guerra fredda però non sta generando l’effetto sperato. Non sono molti i russi disposti a credere di essere tornati a quei tempi e la performance del coro nella cattedrale non è piaciuta granché.