Inger Støjberg, ministro per l’Immigrazione danese

Così la Danimarca "cambia paradigma" sui migranti

Con un voto bipartisan il Parlamento approva una legge che rende temporaneo il sistema di accoglienza dei rifugiati

Il modello australiano che prevede una gestione più rigida delle politiche di accoglienza dei migranti ha ormai trovato un laboratorio anche in Europa. Giovedì scorso, la Danimarca ha approvato una legge che mette in pratica uno degli slogan del Partito popolare danese, il cosiddetto “cambio di paradigma” nella gestione della politica d’asilo e immigrazione. L’obiettivo del provvedimento è ottenere più respingimenti e garantire meno inclusione sociale anche a quei migranti che hanno i documenti in regola per usufruire della protezione umanitaria e che vivono nel paese da anni. La legge riguarda il sistema di ripartizione dei rifugiati gestito dalle Nazioni Unite. Si tratta di un meccanismo che funziona in base a delle quote – molto simile a quello messo in piedi dall’Ue fino a qualche tempo fa e boicottato da molti stati europei – che coinvolge diverse nazioni del mondo e di cui beneficia chi fugge da guerre, persecuzioni e altre calamità.

 

Fino al 2016 la Danimarca aveva aderito al programma accogliendo circa 500 persone ogni anno. Poi si è tirata indietro per volontà della coalizione di centrodestra che guida il governo. Il provvedimento approvato dal Parlamento, oltre a ridurre le spese per l’integrazione, ridimensiona la durata della tutela umanitaria garantita ai rifugiati, che sarà solo temporanea. Lo status di rifugiato sarà revocato nel momento in cui la situazione nel paese di origine sarà giudicata idonea – non si sa secondo quali criteri – per garantire il rientro in patria. Secondo le Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie il governo danese infrange così lo spirito che stava alla base della partecipazione alle quote di accoglienza, “che mirano in genere a una soluzione di lungo termine o permanente”, come ha spiegato al quotidiano danese Politiken la portavoce dell’Unhcr in Danimarca, Elisabeth Arnsdorf Haslund. “Prima di arrivare, i rifugiati affrontano un processo di selezione severo e sono preparati a vivere in Danimarca”, ha spiegato Haslund. Ma nel paese le prossime elezioni sono previste entro la fine di giugno e il clima da campagna elettorale risente molto del dibattito sui migranti: “Se ci sarà una maggioranza di sinistra allora l’immigrazione diventerà un campo di battaglia e si rischierà di cadere nel caos”, ha detto il ministro per l’Immigrazione, Inger Støjberg. Tra chi critica la nuova legge danese c’è invece l’Alleanza rosso-verde: “L’essenza di tutto questo è rendere più difficile la vita alle persone che scappano dalle barrel bomb di Assad e dal terrore dello Stato islamico”, accusa il portavoce Pelle Dragsted. “Desideriamo mandare un segnale molto chiaro ai rifugiati. Se ti è stato concesso il diritto di restare in Danimarca, questo è solo a titolo temporaneo. E questo vale anche per le quote dei rifugiati”, aveva dichiarato a gennaio Støjberg. “Ci aspettiamo un risultato concreto – ha aggiunto il ministro dopo il voto di giovedì – ma ovviamente non è quantificabile”.

  

Uno degli aspetti più significativi del voto al Parlamento danese è che il sostegno a una misura tanto restrittiva è stato bipartisan. Oltre al Partito popolare, anche i socialdemocratici hanno votato in favore della legge. Da tempo la sinistra danese sostiene una politica più rigorosa nei confronti dei migranti e dei rifugiati e si è schierata dalla stessa parte del governo. A dicembre dello scorso anno aveva fatto molto discutere un altro provvedimento adottato dalla coalizione di centrodestra. Su proposta dei nazionalisti del Konservative Folkeparti, il governo danese aveva istituito in Europa il primo ghetto per i migranti giudicati colpevoli di vari crimini, imponendone il confino sull’isola di Lindholm. “Gli stranieri deportati non hanno alcuna ragione di stare in Danimarca. Prima di deportarli nei loro paesi di origine, li manderemo sull'isola di Lindholm – aveva annunciato su Twitter il partito nazionalista – È l'unico modo per monitorare gli immigrati. Il problema è che molti dei condannati continuano a commettere dei crimini”. Una soluzione che ricalca fedelmente quella già messa in pratica dall’Australia, che incarcera sull’isola di Nauru i migranti intercettati nel Pacifico. Un modello che piace a molti dei partiti sovranisti europei, compresa la Lega. Anche il ministro dell’Interno italiano, Matteo Salvini, ha più volte mandato messaggi di gradimento al “No Way australiano” (più recentemente, lo ha fatto lo scorso agosto, parlando a radio Rtl dei migranti a bordo della nave Diciotti). “Nessuno mette più piede in Australia! Il deputato Pd dice che è una ‘stronzata’, ma per me fanno bene! Che dite, affittiamo un'isola anche noi?”, aveva scritto Salvini in un post pubblicato su Facebook nel giugno del 2015.

 

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