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I tormenti di Zarif, ministro ammaliatore d'Iran, e le sue dimissioni non accettate

Paola Peduzzi

Secondo le ricostruzioni la motivazione delle sue dimissioni ha a che fare uno scontro con i falchi del regime in seguito alla visita di Bashar el Assad. Rohani ha difeso il ministro e il suo operato

Milano. Javad Zarif ha rassegnato le sue dimissioni dal ministero degli Esteri dell’Iran, con un messaggio su Instagram, lui che maneggia i social con piglio da occidentale, molto secco: scusate per gli errori, grazie per la collaborazione, arrivederci. Le dimissioni non sono state ancora accettate dal presidente Hassan Rohani, che anzi ha difeso il ministro e il suo operato – le sue dichiarazioni sono state lette come un endorsement a Zarif – mentre 150 parlamentari gli hanno consegnato una lettera in cui gli chiedevano di non far andare via Zarif, che è considerato una garanzia sul tormentato fronte internazionale, l’unica speranza di tenere in vita quel processo di apertura che è stato avviato con l’accordo sul programma nucleare siglato nel 2015. E’ la solita dialettica tra colombe e falchi d’Iran, che tiene banco da sempre, con gli esperti che dicono che di colombe non ne esistono, nella Repubblica islamica, semmai ci sono falchi e falchissimi. Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha confermato questa visione ieri festeggiando la dipartita di Zarif: un gran sollievo, ha commentato. Perché la colomba che ha ammaliato la diplomazia internazionale, secondo Netanyahu e secondo la durissima Amministrazione Trump, è quasi peggio dei falchi, all’ombra del suo bluff, l’Iran può armarsi di nascosto.

 

C’è sempre il rischio di illudersi con la leadership iraniana, ma secondo le ricostruzioni la motivazione delle dimissioni inattese e repentine di Zarif ha a che fare con l’orgoglio da ministro ma anche con uno scontro con i falchi del regime. I quali lunedì hanno accolto in pompa magna il rais siriano Bashar el Assad fornendo rassicurazioni sul suo futuro, e non hanno nemmeno avvertito Zarif dell’incontro. Un dispetto inaccettabile che si colloca dentro una ferita aperta in Iran: finanziare la guerra in Siria per tenere in piedi il regime di Assad ha un costo molto alto, in termini assoluti e in termini politici. Quel processo di redistribuzione della ricchezza che era alla base della sospensione delle sanzioni all’interno dell’accordo sul nucleare – il cui senso era: diamo una chance al popolo iraniano, o così almeno si sperava – non si è realizzato: i dati economici dell’Iran sono disastrosi, gli introiti dei nuovi contratti internazionali non finiscono agli iraniani ma a sostenere le campagne espansionistiche all’estero, dalla Siria allo Yemen e negli altri paesi della regione. Nelle proteste che ogni tanto riescono a superare la paura della repressione, la questione siriana è sempre presente: perché spendete i soldi che ci servirebbero a comprare il riso e il pollo per tenere su Assad?, chiedono i manifestanti.

 

Ecco, i falchi a Teheran – che non vogliono più sentir parlare di quell’accordo maledetto che quando era stato siglato era, secondo loro, una resa al Grande Satana e che ora è una umiliazione, visto che gli americani l’hanno stracciato e gli europei non sanno come tenerlo in piedi – considerano Assad indispensabile per difendere i propri interessi. Non che Zarif sia contrario al regime siriano, anzi, ma teme che questo neoisolamento vanifichi anni di negoziati e la poca credibilità residua dell’Iran. Soprattutto: voleva esserci, all’incontro con Assad, dal momento che il giorno prima della visita si era scontrato con i falchi, ribadendo una sua nota teoria: “Indipendenza non vuol dire isolazionismo”. Invece al suo posto c’era l’onnipresente generale Qassem Suleimani, regista dell’espansionismo iraniano all’estero e di cui si vocifera ormai da tempo di una probabile candidatura. Zarif dice che non c’è nulla di personale nella sua decisione, è che se non si rispetta il ministero degli Esteri vuol dire che non si ha a cuore la sicurezza dell’Iran. Punti di vista, come tutto quel che riguarda questo paese che vorrebbe reagire duramente all’umiliazione trumpiana eppur non si capacita del perché Trump è tanto conciliante con i nordcoreani o peggio ancora con i sauditi e così intollerante con gli ayatollah.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi