Il premier ungherese Viktor Orbán durante il suo Discorso sullo stato della nazione (foto LaPresse)

I figli ungheresi contro il complotto sorosiano pro migranti

Paola Peduzzi

Metti al mondo quattro bambini e non pagherai mai più le tasse. Il modello del premier Orbán contro “l’internazionalismo” dell’Ue

Milano. L’Europa dell’ovest bada soltanto ai numeri, noi dell’est pensiamo alla qualità, ha detto il premier ungherese, Viktor Orbán, durante il suo discorso sullo “stato della nazione” domenica, al Várkert Bazár di Budapest (lato Buda): “L’Europa fa sempre meno figli. Per l’occidente, la risposta è l’immigrazione: per ogni bambino mancante ne arriva uno da fuori, e così le statistiche vanno bene. Ma noi non abbiamo bisogno di numeri. Noi abbiamo bisogno di bambini ungheresi”. L’ovest potrà accontentarsi, anzi “arrendersi” a vivere in società miste, ma l’est no, l’Ungheria no, e così Orbán ha descritto il suo piano in sette punti per ripopolare il paese e far rifiorire la società ungherese.

 

Le madri di quattro figli non pagheranno la tassa sul reddito per il resto della loro vita, le famiglie con tre figli potranno accedere a un prestito gratuito per acquistare l’automobile. Le esenzioni fiscali per i mutui saranno proporzionali al numero dei figli, le coppie più giovani potranno avere accesso ai sussidi per ottenere una casa di proprietà, saranno costruiti 21 mila nuovi asili e anche ai nonni sarà concesso il congedo similmaternità per occuparsi dei nipoti.

 

L’Ungheria, come buona parte dell’Europa centrale e dell’est, è da anni in crisi demografica: nel 2015, il PiS polacco al governo introdusse un sussidio di 500 zloty al mese per i genitori di due o più figli (si tratta di circa 115 euro, un terzo del salario minimo, una cifra enorme che vale l’un per cento del pil polacco). L’anno scorso la Serbia, che perde 30 mila persone ogni anno, ha introdotto un fondo pari a 500 milioni di dinari (più di 3 milioni di euro) da destinare alle famiglie con tre o più figli. In Ungheria le stime sono impietose – la chiamano la terra della solitudine – e la popolazione si ridurrà del 15 per cento entro il 2050, passando dai circa 9,7 milioni di oggi a 8,3 (è in declino costante dagli anni Novanta). Oltre alla bassa natalità – bassissima a Budapest – c’è anche una grande emigrazione soprattutto tra i giovani. Mentre Orbán descriveva il suo progetto di ripopolazione, fuori dal Bazár c’erano le proteste contro la riforma del codice del lavoro che dà diritto ai datori di lavoro di chiedere 400 ore di straordinario l’anno – la cosiddetta “legge schiavitù” – che è stata introdotta per supplire alla mancanza di manodopera: chi c’è deve lavorare di più.

 

Per Orbán la battaglia demografica – inevitabile e necessaria, su questo concorda anche il governo, sempre riluttante ad ammettere che ci sono delle crepe nel modello di sviluppo ungherese – rientra nella più grande battaglia aperta con l’occidente. Secondo lui, Bruxelles è a capo di “un nuovo internazionalismo” che ha come suo primo strumento di conquista l’immigrazione: questo internazionalismo vuole un mondo senza nazioni, con società aperte e un governo sovranazionale globale – e sì, ovviamente, questo è il disegno di George Soros, che secondo Orbán ha ormai preso la guida-ombra delle istituzioni europee (un ministro ungherese ha chiesto formalmente le dimissioni di Frans Timmermans dalla candidatura per le europee in quanto il leader olandese dei socialisti ha ammesso di aver avuto contatti frequenti con Soros). Il piano sorosiano-brussellese è composto da sette punti, “è già stato preparato ed è pronto per essere applicato”, ha detto Orbán e ha come obiettivo trasformare l’Europa in un continente di immigrati. “E’ questo quel che c’è in ballo alle europee” del 26 maggio, ha detto il premier ungherese, ed è a questo che lui si vuole opporre: “E’ scritto sul grande libro dell’umanità che dovranno sempre esistere gli ungheresi”.

 

A Budapest chi si oppone al governo dice che mentre ci si perde nella retorica migrazione-Soros-identità-nazionale, c’è un altro tipo di immigrazione sempre più evidente, che ha più a che fare con l’esercizio di un’influenza dall’estero: è quella dei cinesi e dei russi. Voi occidentali badate alle quote e alla solidarietà e alle recinzioni, dicono molti, e intanto qui i cinesi e i russi possono fare quello che vogliono. Ieri è arrivato in Ungheria Mike Pompeo, il primo segretario di stato americano ad andare in visita a Budapest dal 2011 (c’era Hillary Clinton allora): Orbán vive la visita come un premio, e secondo alcune fonti americane al dipartimento di stato ci sono state un po’ di polemiche sull’incontro, soprattutto dopo che Freedom House ha declassato l’Ungheria da paese libero a paese “parzialmente” libero (è l’unico paese al momento con questo status nell’Ue). Ma l’America trumpiana non ha molto a cuore le libertà, non ha detto granché sul trasloco a Vienna dell’università di Soros (che pure è un ateneo americano) però ha apprezzato apertamente il sostegno ungherese allo spostamento dell’ambasciata americana a Gerusalemme o l’opposizione al Migration compact dell’Onu. Ha però alzato la voce su un’altra questione: la mancata estradizione da parte di Budapest di due trafficanti d’armi russi. Questa è l’unica preoccupazione americana: il vuoto nell’est Europa può essere riempito da cinesi e russi, è quel che sta già avvenendo. L’Europa occidentale può attendere, può essere scavalcata, secondo la visione americana, ed è su questo approccio che Orbán vuole fare leva, per lottare contro il “nuovo internazionalismo” di Bruxelles assieme agli americani.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi