Emmanuel Macron (foto LaPresse)

W Macron contro i burini della decrescita

Giuliano Ferrara

In Italia le élite fanno finta di avere torto, più facile, più furbo, e sono ossessionate dall’avere consenso. Macron ha l’ossessione di avere ragione e ora si rimette in gioco contro i maduristi, e per fortuna non lo fa poco poco

Macron si rimette in gioco, ma non sa farlo poco poco, come i nostri elitisti bobo. Ha sganciato 10 miliardi sull’unghia, estorti a forza di blocchi stradali e sassaiole, un compromesso comprensibile, sebbene improduttivo di pace sociale e politica, visto che era diventato per destre, sindacati, estrema sinistra madurista, gaullisti, socialisti il “presidente dei ricchi”, un uomo di stato techno pieno di disprezzo per la gente comune. E i lavoratori poveri, i ménage in difficoltà, al di là dei Suv in lotta, effettivamente ci sono.

 

Poi, dopo aver dato senza i casini che si fanno qui da noi, in modo egalitario e non clientelare, il presidente  ha organizzato il Grande Dibattito Nazionale, proprio così. Non assembleucce di circoli, ma mobilitazione di mezza Francia via sindaci, prefetture, ministri, implicandosi lui stesso nella formula town hall, in giacca e poi in camicia a contraddittorio con il paese profondo nei centri sportivi e nei palazzetti dello sport (lui ascolta, sorride, e parla e straparla rispondendo a molti interventi di protesta e di denuncia). Voleva una discussione à distance de baffes, a un tiro di schiaffo, e l’avrà, a parte la serietà da stati generali dei francesi prima della rivoluzione.

 

Dopo un esordio trionfale tra i sindaci in Normandia, dove è forte la rete politica e sociale di uno dei coordinatori del GDN, il ministro dei Territori Sébastien Le Cornu, alla seconda uscita personale nel Lot si sono mobilitati a dozzine i burini dei gilet gialli, avanguardia di popolo declassato e dimenticato dall’uomo delle grandi scuole e di Parigi, ed è stata subito imboscata chiassosa (sotto controllo poliziesco, vivaddio). La Le Pen ha detto che un suo sindaco non era stato invitato e ha parlato di Faux Débat invece che di Grand Débat, pur avendo deciso di partecipare perché il Fronte, rinominato Raggruppamento, vuole arrivare primo alle elezioni moderandosi sull’euro e mostrandosi dediabolizzato fino in fondo, visto che il tribuno venezuelano Mélenchon, estrema sinistra parallela ai populismi di destra, fa il duro gilet giallo con toni sassaioli (ma è in calo e contestato anche dai suoi, da destra e da sinistra). Tutti comunque puntano a dire che ci stanno e non ci stanno perché potrebbe rivelarsi una operazione della Com., cioè la comunicazione, roba pubblicitaria per risalire la china, se è vero che adesso parecchi commercianti si sono rotti della paralisi del loro lavoro negli ultimi cento giorni, e non sono i soli. 

 

Vedremo. L’arena è interessante, si parla di demografia, di trasporti, di tasse, di sacche di disagio, di potere d’acquisto, di pensioni, di servizi pubblici, di strumenti di integrazione della democrazia rappresentativa, di burocrazia centralistica, di tutto: meglio dei rond point dove i burini fanno la loro festaiola battaglia di paralisi del paese ai crocicchi, per non parlare della canaille scatenata a Parigi. Eppure Macron, controllatissimo, ha lasciato subito che gli sfuggisse una frase su “coloro che fanno bene e quelli che sono fuori di testa”, ceux qui déconnent. Subito scandalo, come quando aveva censurato a Capodanno i “capi di folle piene di odio”. Difficile che il presidente dei ricchi abbandoni la sua migliore ricchezza, il parler vrai, la lingua sciolta e pedagogica dell’uomo di élite che vuole convincere anche con metafore prese come offensive (attraversa la strada, e vedi se trovi un lavoro; è nella natura dei galli una certa resistenza al cambiamento; fatela finita di lamentarvi sempre, se volete un paese migliore). 

 

Rimettersi in gioco poco poco è forse per i bobo, non per il loro capo supremo. 

E’ stato notato che Macron ha l’ossessione di avere ragione. Da noi le élite fanno finta di avere torto, più facile, più furbo, e sono ossessionate di avere consenso. Macron ha la nevrosi della conoscenza: io le cose le conosco, le ho studiate, il paese per me non è solo corpi e anime, ma cifre, bilanci, situazioni sociali e civili su scala grande, e la mia vita politica sorprendente è dedicata  a risolvere le questioni come dico io. Forse esagera, ma sono sindromi incompressibili. Nel racconto della sua esperienza di lavoro alla direzione dell’economia, Bruno Le Maire, osserva che le note dei techno, dei funzionari che sono da secoli il nerbo dello stato francese, in tutte le sue incarnazioni (monarchia territoriale, assolutismo, repubblica), “sono rassicuranti, hanno una spiegazione per tutto”. Le Maire è anche un letterato, fa dell’ironia, ma il suo presidente è filosofo postcartesiano piuttosto, e che ci sia una spiegazione per tutto, questione di saperla comunicare per convincere partendo da una base ragionevole e razionale, è fuori portata della sua, di ironia. 

 

A detta di tutti nell’esercizio del dibattito Macron è straordinariamente bravo. Vero. Basta stare a ascoltarlo. Ma bisogna che la postura dell’ascolto non sembri falsa, bisogna che le ragioni della frustrazione evocata da Jupiter e dai suoi modi siano considerate. Niente però toglierà dalla testa di Giove che lui ha ragione a trasformare la Francia e a battersi per l’Europa che libera e protegge, e gli altri, tutti gli altri, per quanto li si ascolti con attenzione, hanno decisamente torto. 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.