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Un documentario racconta come la peste del chávismo ha ucciso il Venezuela

Maurizio Stefanini

Domani la presentazione alla Camera. Intervista con il regista

Roma. “Non credo possibile che ci sia oggi in Venezuela una sola persona che vada a letto avendo fame”, proclama l’inconfondibile voce di Hugo Chávez. E sfilano le immagini di donne e bambini macilenti che cercano da mangiare frugando in enormi discariche di immondizia. “Non deve esserci povertà in Venezuela”, grida ancora il defunto caudillo. E si vedono primi piani di piedi di bambini scalzi. “A loro dedicherò la mia vita”. E altre immagini di miserabili in mezzo alla spazzatura. “Mai si era visto un paese collassare completamente in questo modo”, commenta il segretario dell’Organizzazione degli Stati americani, l’uruguayano Luis Almagro.

 

Così inizia il documentario che viene presentato domani alla Camera dei deputati: “Riflessioni sul Venezuela. Chávismo dal sogno all’incubo” è il titolo che è stato dato in italiano a una pellicola che ha ricevuto premi e nomination internazionali, ma il titolo originale è: “Chávismo. La peste del siglo XXI”. “La peste nell’immaginario è la peggior catastrofe che una civiltà possa ricevere”, spiega al Foglio il regista Gustavo Tovar Arroyo: “Come le Sette Piaghe d’Egitto. La peste diventa qui una metafora per segnalare che nessuna catastrofe naturale o epidemia riesce a causare tanto dolore e morte quanto ciò che l’uomo può fare a se stesso”. Chávez aveva proclamato il suo modello come “il socialismo del XXI secolo” e nel documentario viene ricordato più volte come Chávez si è premurato di fare tutto ciò che, basandosi sull’esperienza storica, i manuali di economia invitavano a non fare. “Il film è nato dopo che un membro della troupe è stato ucciso – racconta Tovar – Altri membri della troupe sono stati incarcerati. Ho sentito il bisogno di rispondere non solo di fronte alla congiuntura ma di fronte alla Storia per tutto il danno che questi criminali ci hanno causato come nazione. La peste del XXI secolo vuole mostrare il modo in cui attraverso il ricorso ostinato a ideologie già sconfitte dalla Storia un uomo sia stato capace di rovinare il paese più ricco dell’America Latina”.

  

Come è stato possibile? C’era in Venezuela qualcosa di peculiare, o l’ondata di populismo che sta scuotendo il mondo ci indica che ogni paese è a rischio? “L’Italia ha conosciuto il fascismo, la Germania il nazionalsocialismo – risponde Tovar – Il brodo di coltura per queste derive è sempre l’immoralità di élite che a un certo punto sbracano e consentono a un caudillo redentore di catturare con il suo carisma le masse. Tutta l’America Latina ha corso il rischio di essere contagiata dalla peste chávista, e non solo”. Il documentario cita il caso del leader di Podemos Pablo Iglesias, che però ora dice di aver cambiato idea, e di non considerare più il Venezuela un modello da seguire. “Non gli credo, visto che da Chávez ha pure preso i soldi. So però che ha visto il mio documentario, come lo ha visto altra gente che aveva militato nei partiti di Lula, dei Kirchner, di Correa. E so che ne escono inorriditi, ripetendo cose tipo ‘non sapevano, non sapevamo’. Eppure il mio documentario edulcora la realtà: molte delle cose più terribili non le ho messe, perché lo spettatore non sarebbe riuscito a vederle”.

  

Ogni 20 minuti un venezuelano viene assassinato e ogni 20 minuti il documentario si interrompe per ricordarlo. La conclusione: “Quando si uccide un uomo è un omicidio, quando si uccide un intero paese è chávismo”. “Mi attengo al diritto penale internazionale consacrato nello Statuto di Roma. Quando un governo utilizza il controllo dell’alimentazione e della salute per mettere un popolo sotto controllo si parla sempre di sterminio”. Proprio a Roma, la data della presentazione coincide con l’inizio di un nuovo mandato di Maduro che sia l’Assemblea nazionale sia gran parte della comunità internazionale considerano illegittimo. “E’ una data cruciale. All’Assemblea nazionale toccherà il ruolo difficile di riempire il vuoto di potere e organizzare la società per deporre l’usurpatore. Dipenderà dalla capacità di mobilitazione sociale se riusciremo a raggiungere l’obiettivo della libertà”.