Masayoshi Son, l'uomo più ricco del Giappone (Foto LaPresse)

Masayoshi Son, l'ultimo samurai

Giulia Pompili

L’ipo dei telefoni Softbank è andata malissimo, ma la forza della compagnia giapponese è tutta nel suo fondatore

La vita per gli immigrati coreani in Giappone non è facile nemmeno oggi, ma tra gli anni Cinquanta e Sessanta essere uno zainichi, un residente di origini coreane, voleva dire essere destinato ai lavori più umili, alla discriminazione, al massimo gestire una sala pachinko, il gioco d’azzardo preferito dei giapponesi. Anche Masayoshi Son è uno zainichi. L’uomo più ricco del Giappone, apprezzato perfino dal presidente americano Donald Trump, dalle alleanze controverse come quella con il leader de facto dell’Arabia Saudita, Mohammed bin Salman, è il fondatore negli anni Ottanta del colosso delle telecomunicazioni Softbank. Eppure Masa Son ha una storia diversa da quella di tutti gli altri immigrati coreani nel paese del Sol Levante. In oriente la sua figura rappresenta il riscatto e la capacità di fare impresa, e non solo durante il boom economico del Giappone degli anni Ottanta: come le rockstar dell’imprenditoria e dell’innovazione occidentali, da Steve Jobs a Mark Zuckerberg, Masayoshi Son è il “Re Mida” del business giapponese, la persona che ha saputo trasformare Softbank anche nei momenti di difficoltà, rinnovarla, fino a rendere la sua stessa vita un archetipo.

 

Per capire l’Asia, il business asiatico e quanto cambierà anche per l’Europa dopo l’entrata in vigore, nel febbraio prossimo, del partenariato economico tra Bruxelles e Tokyo, è necessario conoscere le sue figure chiave. Masayoshi Son non è soltanto l’uomo più ricco del Giappone, ma rappresenta un’anomalia nel campo dell’imprenditoria giapponese: chi ha lavorato con lui lo descrive come un istintivo, pronto anche a rischiare. Una caratteristica che difficilmente si trova nei businessman nipponici, tanto che questa scarsa attitudine al rischio è stata studiata per anni da sociologi e psicologi, perché è una delle cause fondamentali della stagnazione economica che ha bloccato la terza economia del mondo per vent’anni. L’esempio di Masayoshi Son sta scuotendo non solo l’intero mondo della tecnologia, ma soprattutto quello dell’economia giapponese.

 

Son ha una storia diversa da quella di tutti gli altri immigrati coreani in Giappone. In oriente la sua figura rappresenta il riscatto 

Città di Tosu, prefettura di Saga. Siamo a una trentina di chilometri da Fukuoka, a nord dell’isola di Kyushu. Masayoshi viene alla luce l’11 agosto del 1957, in una baracca su Goken road, senza numeri civici. Tosu ospita una Korea town, dove vivono solo coreani immigrati già da prima della Seconda guerra mondiale. I genitori del futuro uomo più ricco del paese si chiamano Mitsunori Son e Tamako Lee, hanno quattro figli, e sono la terza generazione di coreani che vivono in Giappone. Come da legge nipponica, sono costretti ad adottare un cognome giapponese, Yasumoto. Pare che andando più indietro nel tempo, i bisnonni di Masayoshi venissero dalla Cina, ma è un argomento dibattuto. Il nonno era nato a Taegu, in Corea del sud, e poi si era trasferito nel Kyushu e aveva iniziato a lavorare nelle miniere di carbone di Fukuoka.

 

A svelare ogni dettaglio dell’infanzia di Masa è stato lo scrittore giapponese Atsuo Inoue, che nel 2004 ha pubblicato il suo bestseller, “Aiming High”, una biografia del tycoon giapponese che racconta sin dall’inizio la storia di un uomo che diventerà leggenda, attraverso anni di interviste, ricerche e colloqui con i suoi parenti e collaboratori. Nel libro Inoue racconta che il padre di Masayoshi, Mitsunori Son, quando i figli erano piccoli faceva ogni tipo di lavoro, contrabbandava anche gli alcolici, e alla fine era riuscito a diventare gestore di un pachinko, di un ristorante e di un’impresa immobiliare, e costruire un futuro per la sua famiglia. Ma l’infanzia di Masayoshi è segnata dalla povertà: “Son ricorda i giorni a Tosu con sua nonna, Wonjo Lee, che lo portava dappertutto in un carrello di legno”. Andavano di casa in casa a prendere i rifiuti alimentari dei vicini, per nutrire gli animali della piccola fattoria. E’ questo “dovere tutto agli altri” che lo ha portato a far suo l’insegnamento della nonna, di non portare mai rancore nei confronti delle persone, qualunque cosa succeda.

 

Il sogno di Masayoshi era quello di portare la sua famiglia ad avere quello che alla sua infanzia era stato negato, quel tipo di determinazione che solo chi ha vissuto la povertà può capire. Quando si trasferiscono a Kitakyushu, sempre nel Kyushu, Son inizia le scuole elementari e ad amare lo studio: non quello nozionistico e mnemonico, è piuttosto portato per l’arte e la creatività. A sedici anni, dopo quattro settimane di vacanza studio a Berkeley, dopo essere passato al gate dell’aeroporto di Haneda da straniero, in quanto coreano, torna a casa e dice ai genitori di voler mollare il liceo giapponese e di voler andare lì, in California, nel paese che accoglie tutti e dove tutti hanno uguali opportunità. Prima di partire il padre, che aveva sempre considerato il suo secondogenito un genio e lo aveva spinto a dare il meglio di sé, gli fa solo due raccomandazioni: torna almeno una volta l’anno a trovarci, e sposa una donna asiatica. Son ha tenuto fede ad almeno una delle due promesse.

 

Il cognome Son non esisteva in Giappone fino agli anni Ottanta. Le origini coreane di Masayoshi lo costringevano a passare in un gate diverso all’aeroporto, e a usare un cognome fittizio, Yasumoto. “Mi sono chiamato Masayoshi Yasumoto fino ai sedici anni, quando non sono partito per gli Stati Uniti”, ha detto il fondatore di SoftBank di recente in un’intervista al Nikkei. “Quando ho deciso di avviare un’impresa in Giappone, ho dovuto prendere una decisione importante: se continuare con il cognome giapponese Yasumoto oppure con quello dei miei antenati, Son. Senza dubbio sarebbe stato più facile farmi chiamare Yasumoto, lo fanno molte celebrità e atleti professionisti. La mia non è una critica.

 

Ma all’epoca ho deciso di andare controcorrente e diventare il primo della mia famiglia a usare Son come cognome”. Secondo la legge nipponica, l’ha potuto fare soltanto dopo aver sposato Masami Ohno, una donna giapponese incontrata nelle prime settimane in America: lei ha rinunciato al suo cognome per prendere quello del marito, che quindi legalmente è diventato un cognome giapponese. Ha parlato spesso, nelle sue interviste, del cosiddetto kimchi clan, la mafia coreana e il pregiudizio che accompagna ogni coreano che vive in Giappone: “Le persone di successo possono essere una luce di speranza per gli altri. Personalmente penso che sia importante creare una società dove ognuno può essere felice del successo degli altri. Questo tiene vivo il sogno giapponese e crea gli eroi giapponesi”.

L’ossessione per il futuro e la teoria singularity, quando la tecnologia farà da sola. Il fondo con i sauditi e il crash della settimana

 

 

Softbank è stata fondata ufficialmente il 3 settembre del 1981, da un Son ventiquattrenne. Vendeva parti di computer e poco dopo iniziò a pubblicare una rivista di settore. Oggi è la trentanovesima azienda del mondo, la quarta in Giappone. Al 26esimo piano del Tokyo Shiodome Building, nel quartiere di Minato, c’è il regno di Son. E’ qui che si svolgono le trattative, è qui che si osserva l’area più business della capitale giapponese mentre si mangia nel suo ristorante privato, dove il suo chef personale prepara il sushi per gli ospiti. Nel suo ufficio campeggia un gigante ritratto del samurai Sakamoto Ryōma, colui che guidò la rivolta contro lo shogunato Tokugawa. Pare che Son lo guardi dritto negli occhi prima di prendere una decisione importante.

 

Nel maggio scorso, Masayoshi Son detto “Masa” si è guadagnato le copertine di due dei più importanti settimanali del mondo. Il Nikkei Asian Review, la pubblicazione del Nikkei prodotta in collaborazione con il Financial Times, il 7 maggio titolava la sua cover story: “Visionary or Daredevil?”. Ci sono pochi dubbi nel considerare Masa Son una forza disruptive nel mondo degli investimenti tecnologici, scrivono Henny Sender e Takashi Sugimoto. “Negli ultimi due anni, l’azienda di investimenti di Softbank è stata paragonata alla Berkshire Hathaway di Warren Buffett, con 217 miliari di dollari in gestione, secondo i dati di McKinsey. Ha usato questa cassaforte per enormi investimenti, comprando partecipazioni multimiliardarie in aziende giovani come Uber Tech e WeWork. I rivali asiatici e quelli della Silicon Valley cominciano a sentirsi agitati. La sua posizione dominan   te ha scatenato il dibattito. Masayoshi Son è la cosa migliore che potesse capitare alle start up tecnologiche? O sta giocando con il fuoco?”.

 

Nel Kyushu, da bambino, accompagnava la nonna a raccogliere gli scarti dei vicini per dar da mangiare alle bestie 

Il 12 maggio scorso l’Economist mette in copertina il volto di un uomo asiatico pressoché sconosciuto ai non addetti ai lavori, con un dolcevita scuro come Steve Jobs, e una roulette alle spalle, tutt’intorno alla testa, come fosse una corona d’azzardo: “Il regno di Son”. “In una recente riunione di finanzieri a New York, Bill Gurley di Benchmark, una società di venture capital che ha investito in numerose aziende tecnologiche, ha definito il Vision Fund ‘il più potente investitore nel mondo’. Anche ammettendo l’iperbole e il fermento, Masa Son si distingue. Da una parte questo è dovuto alle sue convinzioni per quanto riguarda gli scenari del futuro, come la ‘singularity’, ma è anche perché il metodo di Son sta cambiando le cose velocemente e su una scala che gli altri investitori hanno sempre temuto particolarmente. Sostiene generosamente i fondatori delle start up tecnologiche sulle quali investe, in modo che possano implementare nuovi modelli di business e tecnologia il più rapidamente possibile, oppure incoraggia il consolidamento di gigantesche aziende internazionali, come Uber o la Grab di Singapore: Son pensa più in grande della maggior parte degli investitori”.

 

E qui c’è un primo concetto su cui fermarsi, una specie di ossessione per Son. Per “singolarità tecnologica” si definisce il momento dell’evoluzione in cui il progresso tecnologico sfugge di mano all’essere umano. “E’ molto più facile guardare al futuro tra trent’anni che non ai prossimi tre anni”, pare ami ripetere Masa Son, e infatti la futurologia è uno dei suoi temi preferiti. L’anno scorso alla premio annuale dell’Appeal of Conscience Foundation, l’istituzione fondata nel 1965 dal rabbino Arthur Schneier, durante un discorso diventato piuttosto celebre Son ha spiegato: “L’intelligenza artificiale, la singolarità sta arrivando. I robot, io dico che sono i nuovi colletti di metallo. Ora da una parte abbiamo i colletti bianchi e dall’altra i colletti blu. Ho detto che ci sarà un nuovo tipo di colletto: quello di metallo. I metal collar non solo sostituiranno la maggior parte dei lavori dei colletti blu, ma anche molti dei lavori di colletti bianchi. Quindi, quando diventeranno così intelligenti e avranno i muscoli per muoversi, qual è la definizione di quello che dovrà essere il lavoro dell’umanità? Cosa dovremmo fare per sostituire molti dei nostri lavori? Qual è il valore delle nostre vite? Dobbiamo pensarci ancora, profondamente”.

 

 

Al 26esimo piano del Tokyo Shiodome Building, nel quartiere di Minato, c’è il regno di Son. Il ristorante e lo chef personale

Vision Fund di SoftBank è stato creato nel 2016 e finanziato nell’anno successivo: ha a disposizione un portafogli da quasi cento miliardi di dollari, ed è così diventato il più grande fondo privato di private equity tecnologico del mondo. E’ Vision Fund l’aspetto più controverso dell’impero di Masa Son, perché parte dell’idea di un fondo “visionario” è dell’erede al trono saudita Mohammed bin Salman. Dopo l’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi in molti cominciano a chiedersi perché Masayoshi Son non abbia ancora mollato il socio saudita. Qualche giorno fa, poi, è accaduto qualcosa: “Le azioni della divisione di telefonia mobile di SoftBank hanno perso il 14,5 per cento alla Borsa di Tokyo nel giorno iniziale delle contrattazioni”, ha scritto Stefano Carrer sul Sole 24 ore, “chiudendo con un vero e proprio tonfo a 1.282 yen rispetto al prezzo di collocamento di 1.500.

 

Poco dopo la cerimonia di apertura, il sorriso iniziale di Ken Miyauchi, ceo delle attività telefoniche in Giappone del colosso delle telecomunicazioni e degli investimenti in alta tecnologia, si è spento: il titolo debuttante ha ingranato da subito la retromarcia, gettando un’ombra sul maggior collocamento iniziale dell’anno”, per un valore intorno a 23,5 miliardi di dollari, secondo solo alla storica Ipo di Alibaba. William Pesek, commentatore di cose economiche giapponesi, ha scritto su Asia Times: “Forse il Re Mida ha perso il suo tocco?”. Forse è ancora presto per immaginare il crollo di Softbank e del suo visionario fondatore.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.