La skyline di Shanghai (Foto Pixabay)

Un sogno americano made in China

Redazione

Così l’ottimismo contribuisce a rendere la Cina un paese di consumatori

Il sogno americano vive a oriente, nella nuova terra dei consumi che ormai rappresentano il 60 per cento dell’economia e che, complici i problemi ambientali, vuole liberarsi della scomoda etichetta di fabbrica del mondo. A novembre, s’è tenuta la prima Fiera dedicata alle importazioni verso la Cina (più di 150 mila imprese da 120 paesi a Shanghai) a conferma che, dopo avere conquistato il mondo con le merci made in China, Pechino s’accinge a dettare la regola che “il cliente ha sempre ragione”.

 

Forte del fatto che su cento auto prodotte da un marchio americano, dieci sono vendute nel paese asiatico. Ma le conseguenze sociali sono più rilevanti di quelle economiche. “La Cina – scrive il New York Times in una lunga inchiesta a puntate sulla trasformazione della potenza rivale – è molto indietro rispetto agli Stati Uniti in quanto al reddito. Ma ormai ci precede di molto in un indicatore, tanto intangibile quanto strategico: l’ottimismo”.

 

A fronte dell’immobilismo sociale dell’occidente, dove cresce la percezione dell’ineguaglianza crescente dei redditi, la società cinese può opporre la fiducia nel futuro che deriva da un’impresa unica nella storia umana: 800 milioni di cinesi sono usciti dalla soglia di povertà nel giro di una generazione. L’aumento della ricchezza e migliori condizioni di vita hanno modificato gli equilibri all’interno delle famiglie: i figli, come accadeva nell’Italia del boom, guadagnano di più dei genitori (qui, ora, avviene il contrario). Anche l’aspettativa di vita aumenta: un bambino che oggi ha cinque anni, vivrà sette anni in più del padre nato nel 1990.

 

Per le femmine l’orizzonte di vita s’è allungato di dieci anni. Certo, il divario con l’occidente è ampio: un cinese guadagna in media 12 mila dollari contro i 53 mila di un americano. Ma il reddito della classe media è raddoppiato dal 2000, mentre a ovest ristagna. Il boom dei consumi, culminato nel Singles day di Alibaba (30 miliardi di dollari di acquisti in un weekend) – il Black Friday euro-americano – conferma che la Cina, da opificio del mondo, s’è trasformata nel grande magazzino del pianeta. Senza incidere sugli equilibri politici: consumi di lusso ed e-commerce convivono senza problemi col Partito comunista.

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