Il politologo Angelo Panebianco (Foto Imagoeconomica)

"Il nostro governo e Trump uniti contro l'Ue". Parla Panebianco

Valerio Valentini

“Il vero problema è la sintonia con Putin. Salvini in geopolitica è più pericoloso di Di Maio”, dice il politologo

Roma. L’unico dato certo, nella canea di commenti tutti validi, perché in fondo le elezioni di midterm si prestano sempre alle letture più varie, “è che Donald Trump non ha perso”. Angelo Panebianco preferisce la cautela, nei giudizi del giorno dopo. “Il risultato può essere interpretato un po’ come si vuole, ma è un fatto innegabile che la tanto attesa blue wave dei democratici non c’è stata. D’altronde, i destini di Trump restano incerti, e saranno senz’altro legati all’andamento dell’economia”.

 

E incerte restano, insieme a quelli del presidente americano, anche le sorti dei grilloleghisti italici. “Quello che avviene a Washington è decisivo anche per Roma. Lo è sempre stato ed è così anche ora: il governo sovranista trae in una certa misura la sua legittimazione proprio da quello statunitense”, spiega il politologo bolognese. E non sorprende, allora, che Giuseppe Conte e Matteo Salvini e Luigi Di Maio inneggino al tycoon newyorchese. “Trump e il governo italiano hanno un nemico comune, che è l’Europa a trazione tedesca”.

 

E dunque, di riflesso, la cordialità esibita in modo perfino eccessivo dal presidente americano nei confronti dell’amico “Giuseppi”, è anche perché, osserva Panebianco, “il governo italiano, col suo approccio e le sue ricette economiche, è una zeppa nell’ingranaggio che finora è stato fatto funzionare dalla Germania di Angela Merkel: l’obiettivo condiviso è quello di scardinare questa Europa, seppur per motivi diversi. Trump vede in Berlino un suo concorrente, Di Maio e Salvini un ostacolo alle loro riforme, oltreché una minaccia da additare al popolo”.

Insomma gli Stati uniti usano l’Italia come una clava contro l’Europa? “Certo, ma al contempo anche i gialloverdi usano l’America come uno spauracchio da agitare di fronte ai burocrati di Bruxelles”. E tuttavia il problema, spiega lo storico editorialista del Corriere della Sera, “non è tanto quest’uso strumentale, per certi versi non inedito, che l’Italia fa degli Usa. Il problema, semmai, è il rapporto tra questo governo e Putin, perché lì vedo un legame più profondo”.

 

Salvini, dopo tutto, ha dichiarato di sentirsi a casa sua più a Mosca che non in molte capitali europee. “Se le ricette leghiste, in campo economico, sono meno preoccupanti di quelle del M5s, dal punto di vista geopolitico non è così. Anzi, quando teorizza il fronte dei nazionalisti europei, insieme alla Le Pen, esternando la sua simpatia per la Russia e la sua sintonia personale con Putin, Salvini si dimostra perfino più pericoloso di Di Maio”.

 

Ma se una lezione, da questo voto americano che ha visto una difesa più che dignitosa di Trump dopo due anni dal suo insediamento alla Casa Bianca, è che “i nazionalismi non si sconfiggono da soli, che non basta lasciarli operare indisturbati per condannarli al fallimento. Un po’ perché i guai che questi governanti causano nel medio periodo non saltano subito agli occhi degli elettori, e un po’ perché, nella polarizzazione crescente del dibattito politico, dimostrato anche dalla vittoria di alcuni candidati democratici molto spostati a sinistra, i Trump e i Salvini hanno buon gioco”.

 

Ma l’opposizione in Italia ha scommesso proprio sull’autodistruzione dei grilloleghisti, e di alternative, in giro, se ne vedono poche, al momento. “È vero. Sia il Pd sia Forza Italia hanno un enorme problema nella definizione di una nuova leadership, e fanno fatica a riprendersi dalla batosta del 4 marzo. E poi c’è il proporzionale, qui, a complicare tutto. Una legge elettorale che non incentiva alla creazione di fronti ampi e compatti incentiva inevitabilmente la frammentazione”.

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