Horst Seehofer (foto LaPresse)

Il risiko tra i servizi tedeschi è una lezione sugli equilibri europei

Paola Peduzzi

Il ministro dell’Interno tedesco tiene in pugno la cancelliera Merkel, si dice. Il caso Maassen e le debolezze percepite

Milano. Comunque la prendi, la storia del capo della sicurezza interna della Germania ha l’aria di un enorme pasticcio, perché è la sintesi di un compromesso politico che sta diventando fragile, non soltanto a Berlino. Dopo due ore di discussione, martedì sera, la cancelliera Angela Merkel, il ministro dell’Interno cristiano-sociale Horst Seehofer, e la leader dei socialdemocratici, Andrea Nahles, hanno deciso di rimuovere Maassen dal suo incarico alla sicurezza interna, come voleva la Merkel e come soprattutto voleva l’Spd. Seehofer è rimasto sulla sua posizione – difendere Maassen – e ha ottenuto una concessione: Maassen andrà a lavorare come sottosegretario al ministero dell’Interno, con deleghe su sicurezza e cybersicurezza, prendendo il posto di un funzionario dell’Spd (che era già furibonda prima e ora lo è di più). “Punizione-promozione”, hanno scritto politici e commentatori, un classico della cauta Merkel, che per tenere insieme la sua coalizione e non doversi scontrare un’altra volta con il riottoso Seehofer accetta l’inaccettabile. Maassen aveva negato che nelle proteste anti immigrazione a Chemnitz dell’estrema destra ci fosse stata una caccia agli immigrati da parte dei più estremisti, nonostante la stessa Merkel avesse sostenuto il contrario. Per questo Maassen era stato considerato contiguo al mondo estremista di destra e per giorni il suo futuro è stato appeso alla decisione della cancelliera, con l’Spd per la rimozione e la Csu contraria (come è noto, sono tutti parte della coalizione di governo). La Merkel ha scelto la via del compromesso, che come tutti i compromessi ha avuto come primo effetto quello di far male al negoziatore, cioè a lei: per tenere su il suo fragile governo – si leggeva mercoledì sui giornali tedeschi – la Merkel è disposta a tutto, soprattutto a non infastidire Seehofer, che gongola in questo suo nuovo ruolo ricattatorio.

 

Ora, per quanto una rimozione secca di Maassen avrebbe avuto un effetto decisamente migliore rispetto al ripescaggio all’Interno, la nuova mansione non è certo così importante come quella precedente. Non è disoccupato, Maassen, ma non è più nella posizione decisiva in cui era prima, ed è questo che la Merkel voleva prima di tutto ottenere. Ha ceduto troppo perché è debole? Questo è il leitmotiv del quarto mandato della Merkel, e Seehofer è utilizzato come il simbolo di questa perenne fragilità. L’ultima crisi di governo, a luglio, aveva sempre come protagonista il ministro dell’Interno, che si era messo di traverso sulla politica di immigrazione e aveva minacciato di dare le dimissioni. Come era andata a finire? Ecco, questo è il punto. Una volta annunciate le possibili dimissioni, Seehofer si era accorto che i primi a non prendersela troppo sarebbero stati i suoi compagni di partito, che avevano già qualche nome a disposizione per la sostituzione e che non parevano affatto disperati. Per salvare la faccia, Seehofer aveva continuato a fare il bullo con la stampa, non mi faccio minacciare da nessuno, diceva, ma alla riunione con la Merkel si era rivelato più mansueto, tornando a casa con la promessa di centri di smistamento da mettere in Baviera vicino al confine: di lì passano in media cinque immigrati al giorno, non si tratta di una concessione epocale.

 

Ora siamo da capo: Seehofer si mette di traverso, difende Maassen e soprattutto si fa portavoce delle correnti più di destra nei partiti o nelle coalizioni di destra, per imporre una virata al mondo conservatore europeo nel suo complesso. E’ un po’ quel che la Lega fa con Forza Italia, anche se in Germania c’è anche l’AfD a complicare lo scenario, ma c’è comunque un’enorme differenza: la Lega continua a crescere, la Csu non è mai stata tanto bassa nei consensi, dicono i sondaggi in vista del voto bavarese di metà ottobre. Sono sondaggi, ma servono a dare un peso diverso al “fattore Seehofer”, e pure all’insistenza con cui si va ripetendo che la Merkel, e con lei i moderati, è debole.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi