Tutti gli aerei abbattuti nel risiko siriano

Enrico Cicchetti

Lunedì sera un aereo militare russo con 14 persone a bordo è stato colpito per errore dalla contraerea di Damasco. È l'ultimo di una lunga serie che punteggia i confini della Siria e delinea il gioco delle potenze coinvolte nella guerra

Ieri sera un aereo militare russo con 14 persone a bordo che stava sorvolando il Mediterraneo è scomparso mentre era in corso un attacco israeliano sulla regione costiera di Latakia, roccaforte alawita nel nord-ovest della Siria. Al momento il destino dell’equipaggio resta “sconosciuto” e le ricerche sono ancora in corso. L'Ilyushin-20 sarebbe stato abbattuto per errore dalla contraerea siriana, con un missile venduto proprio da Mosca al regime di Bashar el Assad: "Il velivolo Il-20 è stato colpito da un missile lanciato dal sistema di difesa anti-aerea siriano S-200", ha dichiarato il portavoce del ministero della Difesa russo, generale Igor Konashenkov. La Difesa russa ha riferito che il 17 settembre alle ore 22:00 circa italiane il turboelica di sorveglianza usato per l'intelligence elettronica (che consente ai militari russi di monitorare i cieli siriani in tempo reale) è scomparso dai radar a circa 35 chilometri dalla costa siriana. La versione ufficiale di Mosca è che l'Il-20 è stato abbattuto dagli alleati siriani perché alcuni jet F-16 di Israele lo hanno usato come “copertura” durante i loro raid e "lo hanno reso vulnerabile al fuoco di difesa aerea siriano: di conseguenza, l'Ilyushin-20, la cui superficie riflettente era molto più grande di quella dell'F-16, è stato abbattuto da un missile lanciato con il sistema S-200", ha detto Konashenkov.

 

 

In una nota (una cosa piuttosto rara da parte di Tel Aviv), l'aviazione israeliana esprime "dolore per la morte dei membri dell'equipaggio dell'aereo russo" e ritiene "il regime di Assad pienamente responsabile di questo incidente" insieme "all'Iran e l'organizzazione terroristica Hezbollah". Israele sostiene che gli aerei da caccia IAF miravano a colpire strutture siriane che producono armi da trasferire a favore dell'Iran e a Hezbollah in Libano. E anche che quando l'esercito siriano ha sparato, i jet "erano già all'interno dello spazio aereo israeliano".

  

 

Durante la guerra siriana, iniziata nel 2011, sono stati diversi i casi di velivoli abbattuti, in diverse occasioni e dalle diverse forze in campo. E come nello scontro – anche diplomatico – di queste ore, tra Mosca e Tel Aviv, ricostruirne la storia aiuta a farsi una mappa del risiko siriano e a delineare il gioco delle potenze coinvolte in quella che appare ormai chiaramente come una "guerricciola mondiale" in Siria.

     


Il 24 luglio scorso, Israele ha abbattuto un jet da combattimento siriano che si era addentrato nel suo spazio aereo per circa due chilometri. All'inizio la Siria ha negato, dicendo che il Sukhoi stava rispettando le norme territoriali ma Tel Aviv ha fatto sapere che prima di colpire l’esercito aveva lanciato diversi segnali al pilota per avvertirlo dello sconfinamento. I resti dell’aereo sono precipitati in Siria in un’area controllata dallo Stato islamico, un pilota è morto e dell’altro si sono perse le tracce.

 

Era dal 2014 che Israele non colpiva un aereo siriano: allora abbatté un Sukhoi-24 che era entrato nel suo spazio aereo, sopra le Alture del Golan. Ma la tensione è tornata a crescere da metà giugno 2018, quando le forze governative siriane, appoggiate da Mosca, hanno iniziato una campagna di bombardamenti vicino alle Alture per riconquistare terreno a ridosso del confine con Israele.

 

Il Sukhoi siriano era partito dalla base T-4, a est della città di Homs, già attaccata in passato da Israele. L'intelligence di Tel Aviv ha individuato la base come controllata dall’Iran. Un avamposto usato da Teheran per attacchi contro lo stato ebraico e per passare armi alle milizie sciite che la Repubblica islamica ha spostato in Siria per sostenere il regime di Damasco (ma che possono essere dirette anche contro Israele). Il giorno dopo la strage con armi chimiche di Duma dell'8 aprile scorso, gli israeliani hanno bombardato la base T-4 e hanno ucciso una squadra delle Guardie della rivoluzione iraniane che si occupa di missioni con i droni, incluso il colonnello che li comandava.

  

 


 

A proposito di droni dell'Iran: a inizio febbraio l'esercito israeliano ha diffuso un video dell'abbattimento di un mezzo di Teheran infiltrato sul proprio territorio. Il filmato è stato diffuso anche per smentire i dubbi da parte di Russia, Iran ed Hezbollah, che negavano che ci fosse stata una violazione dello spazio aereo israeliano. Thomas Friedman ha scritto sul New York Times che il drone iraniano non era soltanto da ricognizione, ma era armato. Una volta di più la dimostrazione delle reali intenzioni di Teheran. In rappresaglia per la violazione alcuni cacciabombardieri dello stato ebraico hanno compiuto raid sulle postazioni dell’esercito siriano e delle milizie sciite alleate. L’anti-aerea siriana ha colpito un F-16 israeliano che è precipitato nel nord di Israele. I due piloti sono riusciti a lanciarsi con il paracadute. Una seconda rappresaglia di Tel Aviv ha colpito postazioni e depositi di armi di Hezbollah, e forse iraniani, vicino alla base aerea T4 e a Jabal Manaa, a sud di Damasco.

  


     

Il 18 giugno 2017 gli Stati Uniti hanno confermato di avere abbattuto un aereo da guerra siriano a ovest di Raqqa, nei pressi di Taqba, allora ancora controllata dallo Stato islamico. Secondo un comunicato diffuso dalla coalizione Inherent Resolve, il Su-22 sarebbe stato abbattuto perché stava attaccando i curdi siriani, una parte delle forze di terra alleate di Washington nella guerra contro l’Isis. Come ha scritto anche Yaroslav Trofimov, giornalista del Wall Street Journal, la mossa degli americani non aveva precedenti nella guerra in Siria: mai prima di allora gli Stati Uniti avevano abbattuto volontariamente un aereo da guerra di Assad. “Il regime voleva chiaramente testare la volontà degli Stati Uniti di difendere i propri alleati sul terreno”, scrive il Wall Street Journal. E anche iniziare a capire chi avrebbe gestito la zona di Raqqa dopo la sua liberazione, che i curdi annunceranno il 17 ottobre di quell'anno.  

 


  

Nel novembre 2015 un jet russo che volava in Siria ha sconfinato per pochi secondi in Turchia. È stato abbattuto da due caccia turchi, uno dei piloti è stato ucciso a terra, un altro è stato salvato dalle squadre di soccorso – ma un elicottero della spedizione è stato distrutto da un gruppo di ribelli con uno missile anticarro. Un giorno disastroso per le relazioni tra Mosca e Ankara: da allora la propaganda del Cremlino ha iniziato a sostenere che lo Stato islamico fosse sponsorizzato dai subdoli turchi, con il beneplacito degli americani. I rapporti tra le due potenze sono proseguiti freddamente, tra alti e bassi, fino al giugno 2017, quando presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha rotto l'isolamento internazionale (seguìto alla repressione dopo il golpe del 15 luglio in Turchia). Erdogan è volato a San Pietroburgo per riallacciare i rapporti con la Russia e pochi mesi dopo ha annunciato che la Turchia avrebbe addirittura comprato il sistema di difesa missilistico S-400 dalla Russia, il gioiello dell’industria bellica di Mosca, fregandosene del malumore degli alleati Nato – la Turchia è il secondo paese membro dopo l’America per grandezza. Dopo l'accordo la propaganda di Mosca in versione anti turca è scomparsa. Un riavvicinamento che sta tutt'ora dando i suoi frutti: nel vertice di ieri a Sochi, il "sultano" è riuscito a evitare una possibile campagna militare contro Idlib che avrebbe provocato un massiccio esodo di profughi verso i suoi confini e a strappare al Cremlino la promessa di una zona demilitarizzata intorno all'ultima roccaforte ribelle, dove Mosca e Damasco stavano ammassando uomini e armi da settimane.

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