La sede della Fao a Roma (foto LaPresse)

Nei dati onusiani sulla fame nel mondo c'è una riconferma del modello liberale

Eugenio Cau

Tre anni fa la Fao premiava il Venezuela

Roma. Proviamo a scorporare i dati sulla fame nel mondo presentati l’altro ieri a Roma da una pletora di agenzie internazionali, tra cui Nazioni unite, Fao, Ifad, Pam Unicef e Oms. Presi nel loro insieme, i dati citano un’involuzione preoccupante: per il secondo anno consecutivo, il numero delle persone denutrite nel mondo è aumentato. Erano 784,4 milioni nel 2015, sono diventate 804,2 milioni nel 2016 per poi arrivare a 820,8 milioni nel 2017. In due anni, 36,4 milioni di persone denutrite in più. Il dato deve essere commisurato al suo valore percentuale: il numero di persone denutrite in aumento va confrontato al fatto che aumenta anche la popolazione mondiale, e dunque se gli affamati nel mondo erano il 10,8 per cento della popolazione mondiale nel 2016, sono diventati il 10,9 per cento nel 2017, lo scarto è di un decimale soltanto: la preoccupazione è giustificata, l’allarmismo no.

   

Questi dati possono generare una sensazione di fallimento: pensavamo di essere sulla strada giusta, e invece ecco che nel mondo torna, anche se di poco, la fame. Vuoi vedere che hanno ragione quelli che dicono che il modello liberale non funziona, che la globalizzazione aumenta la povertà tra i popoli, che la ricetta economica del mondo è sbagliata?

  

Proviamo a scorporare i dati, dicevamo. Come dicono le stesse agenzie onusiane, il numero di denutriti è aumentato nell’Africa subsahariana e in sud America. Andiamo un pochino più in profondità: in tutta l’America latina, in realtà, c’è un solo paese in cui il numero di persone denutrite è aumentato significativamente: il Venezuela. Troviamo dunque una correlazione importante: i paesi in cui aumenta la fame sono quelli in cui, o per ragioni di contingenza (Africa subsahariana, più i paesi mediorientali in guerra come la Siria e lo Yemen) o per ragioni politiche (Venezuela) la globalizzazione, il libero mercato e il modello liberale dell’economia non riescono ad arrivare o sono stati rigettati. Dove gli scambi sono ridotti, dove i commerci sono fermi, le Borse chiuse e le frontiere bloccate. Il modello non ha fallito: semplicemente, non è ancora arrivato dappertutto.

  

Il caso del Venezuela è esemplare, non soltanto perché il paese è dominato da una cleptocrazia pseudo-socialista che è riuscita ad affamare il suo popolo e generare una crisi umanitaria drammatica pur sedendo sulle più grandi riserve di petrolio di tutto il mondo. E’ esemplare anche perché, soltanto tre anni fa, mentre il paese era già in piena crisi, proprio la Fao che in questi giorni attesta l’aumento del numero dei denutriti in Venezuela attribuiva al regime di Caracas un premio per l’ottimo lavoro svolto nel ridurre la fame nel paese. Quel premio fu sventolato dal regime per legittimarsi a livello internazionale, fu usato dai suoi fiancheggiatori all’estero (alcuni di essi oggi sono al governo italiano) per ribadire la bontà del modello del “nuovo socialismo” chavista, che fino a poco tempo fa era considerato come un esempio da esportare, e fu usato come conferma del fatto che il paese era sulla strada giusta. Tutto sbagliato. Quando il Venezuela ricevette il premio, la crisi era già evidente a chiunque avesse gli occhi per vedere, e infine si è manifestata perfino nei dati della Fao.

 

A chiunque userà questi dati per condannare la globalizzazione bisogna indicare il Venezuela, dove le conseguenze del rifiuto delle società liberali sono drammatiche e vere.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.