Un vecchio drago della diplomazia saudita parla della Vision di bin Salman

Francesco De Leo

Abile diplomatico e consigliere della casa reale, Turki bin Faysal ci racconta la guerra al terrorismo, l’Iran, i rapporti con Trump

Riad. E’ stato un abile diplomatico, consigliere della casa reale, capo dei servizi segreti, visiting professor, ma soprattutto un grande viaggiatore. Lasciò la Mecca all’età di quattordici anni per trascorrere la maggior parte della sua vita lontano dall’Arabia Saudita. Oggi il principe Turki bin Faysal, figlio del riformista re Faysal, è una delle figure più rilevanti nel regno. Vive a Riad dove presiede la “King Faisal Center for Research and Islamic Studies”. E’ qui che lo incontriamo. “Lo sa che ho avuto sino a poco tempo fa una casa a Roma?”. A Riad non si parla che di Saudi Vision 2030, nome suggestivo dato a un pacchetto di riforme economiche e sociali che ha l’ambizione di stravolgere il paese. “Paragonerei Vision al tentativo di far cambiare rotta a una nave – l’Arabia Saudita – che naviga in acque turbolente. Bisognerà coinvolgere i giovani – il 70 per cento della nostra popolazione ha meno di trent’anni –, dare alle donne un ruolo primario, aumentare e diversificare le fonti di reddito per liberarsi dalla dipendenza dal petrolio e snellire la burocrazia. La sfida è ardua”. “Bisogna riflettere sul fatto – chiarisce il principe –, che non solo ogni saudita dovrà potenziare la propria produttività, acquisendo competenze specifiche che al momento non possiede, ma che anche il governo dovrà migliorare la sua efficienza per essere in grado di affrontare queste sfide”. Un esempio: “Eliminare le sovvenzioni ai settori dell’acqua e dell’energia, senza turbare l’equilibrio sociale della popolazione, è una scelta difficile e complessa che bisogna essere in grado di prendere”. I soldi ci sono. Le riforme saranno finanziate dal Fondo di investimento pubblico più grande del mondo con un impiego fino a duemila miliardi di dollari, ma le incognite non mancano.

 


“Sfortunatamente credo che tutti i servizi di intelligence siano responsabili di aver frainteso i segnali riguardanti l’intenzione di al Qaida di puntare a un target quale la città di New York”, dice al Foglio il principe Turki bin Faysal, ex capo dei servizi sauditi, quando gli chiediamo dell’undici settembre 


 

Secondo alcuni osservatori infrangere lo storico rapporto di assistenza tra la famiglia reale e i suoi sudditi non sarà semplice. E poi ci sono gli Ulema, con la loro tradizione. “In ogni realtà il tentativo di migliorare il sistema economico porta con sé dei rischi. Il re nel presentare Saudi Vision 2030 si è detto convinto che il paese sia pronto ad affrontare le difficili sfide legate ai cambiamenti. Per quanto concerne gli Ulema poi – dice –, credo che il loro ruolo non sia ben compreso in occidente. Provengono dalla società e la loro capacità di indirizzarla verso ciò che ritengono migliore, come la stabilità, la sicurezza, il progresso, è stata la colonna portante della relazione fra l’establishment religioso del regno e gli individui”. “Ma detto ciò – chiarisce il principe –, gli Ulema non hanno potere di veto sulle decisioni politiche, ma agiscono come consiglieri del re. L’ultima parola nel prendere le decisioni e nel far fronte alle conseguenze di tali decisioni spetta a lui”. In Arabia Saudita la questione di Dio è stata anche fonte di terribili violenze.

 

Il principe Turkīi ha incontrato bin Laden ai tempi dell’invasione del Kuwait, ha negoziato con il leader dei talebani, il Mullah Omar, è stato capo dei servizi segreti fino a qualche giorno prima dell’11 settembre. “Il mio ricordo di quei giorni?”, Turkiī bin Faysal si fa serio. “Nell’estate del 2001 vi erano molte notizie su un attacco terroristico che avrebbe preso di mira gli Stati Uniti. Ovviamente, tali notizie venivano condivise con i servizi segreti in Europa, in America e in altri paesi, anche se i mezzi per scambiare le informazioni non erano sofisticati e istantanei come quelli di oggi. Pensi che in questo momento qualcuno potrebbe essere in ascolto della nostra conversazione. A quel tempo invece era necessario scambiare le informazioni di persona o inviare messaggi via fax o computer rudimentali. Sfortunatamente credo che tutti i servizi di intelligence siano responsabili di aver frainteso i segnali riguardanti l’intenzione di al Qaeda di puntare a un target quale la città di New York”. Due anni fa lo disse all’allora presidente Obama in un editoriale sull’Arab News: No, Mr. Obama. We are not “free riders”. We shared with you our intelligence that prevented deadly terrorist attacks on America. Tiene a precisare che “tutti siamo stati vittime di attacchi terroristici e l’Arabia Saudita è stata la prima vittima di al Qaida. Oggi in stretta cooperazione con la comunità internazionale il regno contrasta il cosiddetto terrorismo islamico. Due anni fa, il nostro principe ereditario ha annunciato la creazione dell’Islamic Military Counter Terrorism Coalition. Ne fanno parte 41 paesi”. Uno dei pilastri di Vision è conquistare un ruolo di leadership in medio oriente. Con gli sciiti come si fa? “L’Arabia Saudita è una società multietnica, anche da noi ci sono sciiti. Non tutti gli sciiti seguono lo sciismo iraniano. Il nostro maggiore problema è l’ambizione di Khamenei a espandersi oltre i confini territoriali e abbiamo intenzione di dimostrargli che tale ambizione è controproducente. Non parlo solo per noi, ma per l’islam in generale e per la comunità sciita in particolare, dove le mire iraniane creano divisioni. Coloro che non seguono l’interpretazione iraniana dello sciismo vengono emarginati. Il punto è proprio questo. L’interpretazione di Khamenei è respinta da tutte le maggiori autorità della scuola sciita, non solo al di fuori, ma anche all’interno dello stesso Iran”. E la Casa Bianca? “La relazione tra i due paesi è sempre stata strategica: abbiamo avuto alti e bassi, ma la forza del nostro rapporto è sempre stata in grado di superare le divergenze. La decisione del presidente Trump di spostare l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme è stata da noi pubblicamente criticata. Su questa questione la pensiamo diversamente, ma tra noi vi sono anche punti di intesa, come l’idea della Casa Bianca di contrastare l’influenza iraniana nel mondo arabo”. Il principe Turki è sicuro che tornerà presto a Roma, e alcune fonti riferiscono che “ora ci sono tutte le condizioni” per l’arrivo in Italia di Mohammed bin Salman. Colui che un giorno sarà re è pronto per la tappa italiana del suo tour. Verrà presto a illustrare la sua Vision.

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