Lezioni dal Venezuela per l'Italia del cambiamento
Il sovranismo porta alla perdita di sovranità
Senza nessuna intenzione di tentare un commento generale sulla drammatica situazione economica del Venezuela, che richiederebbe ben più spazio e maggiori conoscenze da parte mia, si possono offire solo due brevi considerazioni. La prima è che se la postura del presidente Nicolás Maduro e del suo governo davanti alla iperinflazione che sventola il suo paese è tragicomica, la realtà è invece davvero tragica, ma di una tragedia annunciata e annunciabile. Il Venezuela di Hugo Chávez e poi di Maduro ha seguito riga per riga il copione del populismo di stampo latino-americano, che motivato da una necessaria lotta alla povertà, si manifesta attraverso redistribuzione inefficiente, nazionalizzazioni, riforme autocratiche, spesa pubblica incontrollata, corruzione, e stampa di moneta a volontà.
Qualunque economista che non abbia voluto nascondere la testa sotto la sabbia ideologica avrebbe potuto annunciare dove conduce questa strada, in teoria e nella pratica storica e corrente. Purtroppo questa annunciazione è stata coperta dal vocale supporto di gran parte dei commentatori che hanno abbracciato prima Chávez e poi Maduro, in un impeto di “prima la politica, basta conti della serva” e di “dagli al neoliberismo”, in un afflato di entusiasmo giovanile alla ricerca del nuovo Fidel. E’ importante ricordare questi impeti e afflati, non tanto per segnare una vittoria dell’economia come disciplina (un po’ anche, lo devo ammettere), ma soprattutto perché la passione per questo populismo ha le stesse radici e le stesse forme della passione odierna per il “sovranismo”: la ricerca di una soluzione semplice e indolore per un problema complesso, che finisce spesso per prendere le forme di una “moneta filosofale”, con un capro espiatorio a cui addossare il proprio fallimento economico (i gringos o i tedeschi).
Il secondo commento è più tecnico, economico, ma anch’esso lega la situazione del Venezuela al sovranismo di moda oggi in Italia e non solo. L’iperinflazione che attanaglia (e affama) il Venezuela è il risultato di un meccanismo ben noto. Creare moneta permette al governo di ottenere beni e servizi necessari, di pagare salari ai dipendenti pubblici, di comprare supporto politico e di oliare i propri meccanismi corrotti. Ma quando c’è tanta moneta in circolazione, il suo valore in termini di beni di consumo si riduce. I salari reali scendono perché i prezzi salgono. La sola capacità di creare moneta senza limiti, quindi, in un contesto istituzionale come quello venezuelano e nel mezzo di una crisi economica, ingenera aspettative di ulteriore stampa di moneta, aumento dei prezzi in anticipo, ulteriore stampa … e quindi una spirale inflazionistica.
Per questo motivo ora Maduro cerca di legare la moneta al petrolio che il paese possiede. Cioè abbandona in principio la fiat money. Dice: se non vi fidate della mia moneta, vi do petrolio, a cambio prefissato. In questo modo si vincola a non stampare moneta in futuro: se la moneta perde valore chi la possiede chiederà petrolio. Lo fa creando una nuova valuta, il “Petro”, con una mossa confusa, un trucco, apparentemente. E poi il petrolio non è facilmente appropriabile, chi lo tira fuori di terra? Maduro vuole capra e cavoli: i vantaggi di un vincolo senza perdere realmente il potere di creare moneta. In questi termini, la nuova politica monetaria non avrà successo.
Ma il punto fondamentale è un altro. Lo si può ripetere in altra forma, in caso fosse poco chiara la relazione col sovranismo nostrano: è proprio la sovranità monetaria che sta azzoppando il Venezuela di Maduro. Egli è costretto ad abbandonarla per fermare le aspettative di inflazione: il sovranismo lo ha portato alla perdita di sovranità monetaria. Storicamente questo in America Latina ha significato “dollarizzazione”, ma per motivi politico-ideologici legare la propria valuta al dollaro non è una strada che Maduro può seguire. Di qui la pagliacciata del “Petro”, con retorica blockchain che suona tecno-rivoluzionaria e a cui c’è pure chi abbocca alle nostre latitudini.
Ovviamente quella venezuelana è una situazione istituzionale estrema, ma in forma più leggera le banche centrali di tutti i paesi sviluppati hanno “divorziato” dai propri governi negli anni ’70 per la medesima ragione, per poter garantire indipendentemente dal ciclo politico la stabilità del valore della moneta.
E questa è anche la ragione per cui l’Italia è entrata nell’euro, perché la sua debole struttura politico istituzionale l’avrebbe portata a deficit e monetizzazione (così si pensava allora). Oggi la struttura istituzionale è se possibile peggiore: il programma di governo è irresponsabile in termini di spesa, tanto che l’unica opzione di realizzarlo è attraverso Eurexit e monetizzazione del debito (questo sono i “Minibot”), appunto. L’Italia non è né sarà il Venezuela, ma il cuore del problema economico del sovranismo monetario è lo stesso: una banca centrale che dipende dal governo porta a instabilità monetaria, soprattutto in un sistema istituzionale che favorisce l’irresponsabilità fiscale.
*Economista, New York University
L'editoriale dell'elefantino