Il 22 maggio 2018. Le bare di due preti e 17 fedeli uccisi dai mandriani Fulani, ad Ayati-Ikpayongo nel distretto di Gwer East nello stato di Benue (foto LaPresse)

Il genocidio dei cristiani in Nigeria è senza fine

Matteo Matzuzzi

I vescovi danno la sveglia all’occidente: “È in corso una pulizia etnica”

Roma. Più di cento contadini cristiani sono stati assassinati lo scorso 23 giugno nello stato di Plateau, Nigeria centrale, nell’ennesimo massacro firmato dai pastori fulani, musulmani. E’ in atto “una vera e propria pulizia etnica”, ha detto il vescovo di Gboko, mons. William Amove Avenya, in una dichiarazione che è stata ripresa anche dall’Osservatore Romano, organo ufficiale della Santa Sede. “Non commettete lo stesso errore che è stato fatto con il genocidio in Ruanda. Era sotto gli occhi di tutti, ma nessuno lo ha fermato. E sappiamo bene come è andata a finire”, ha aggiunto. I numeri sono evidenti: 492 morti nel 2018 nel solo stato di Benue. Più di settanta a gennaio nella diocesi di Maiduguri, dove il vescovo Oliver Dashe Doeme alterna la conta dei morti causati dalle violenze dei fulani a quelle perpetrate dai miliziani di Boko Haram, tra stupri, incendi di chiese e rapimenti. I vescovi di Katsina Ala e di Lafia parlano di una “chiara agenda per islamizzare la Middle Belt nigeriana” che avrebbe nel governo – e in particolare nel presidente Muhammadu Buhari, di etnia fulani – il principale ispiratore.

    

“Non si può più considerare una mera coincidenza il fatto che i perpetratori di questi crimini odiosi sono della stessa religione di coloro che controllano gli apparati di sicurezza, incluso lo stesso presidente”, si legge in un comunicato della Conferenza episcopale nigeriana diffuso pochi giorni fa. “Le parole non bastano al presidente e ai capi dei servizi di sicurezza per convincere il resto della cittadinanza che i massacri non facciano parte di un progetto religioso più ampio”.

  

Gli scontri tra pastori fulani e agricoltori cristiani durano da secoli, sempre legati allo sfruttamento della terra: i fulani, facendo pascolare le proprie mandrie sui terreni coltivati dai cristiani, rovinano il raccolto. Ora però a mere questioni “pratiche” si è sostituita la matrice religiosa: “Sono criminali e terroristi ma non fanno le stesse cose nei territori a maggioranza musulmana”, ha aggiunto mons. William Amove Avenya in una dichiarazione ad Aiuto alla chiesa che soffre.

   

Da anni le chiese cristiane nigeriane lanciano l’allarme, invocando un aiuto dall’occidente che non è mai giunto. Non si tratta solo di un “nuovo Ruanda”: la partita è ben più grossa e decisiva. Ha scritto Philip Jenkins, tra i massimi studiosi delle religioni, che “l’equilibrio tra islam e cristianesimo in Africa sarà deciso in Nigeria”, che secondo tutte le stime diverrà entro trent’anni uno tra i dieci paesi con più cristiani al mondo. Genocidio è parola delicata, lo stesso Papa ha più volte invitato alla prudenza circa l’uso di tale termine: “A me non piace, e voglio dirlo chiaramente, a me non piace quando si parla di un genocidio dei cristiani: questo è un riduzionismo, è un riduzionismo. La verità è una persecuzione che porta i cristiani alla fedeltà, alla coerenza nella propria fede. Non facciamo un riduzionismo sociologico di quello che è un mistero della fede: il martirio”.

      

Secondo un rapporto pubblicato dalla Società internazionale per le libertà civili e lo stato di diritto, in tre anni in Nigeria sono stati assassinati sedicimila cristiani, tra cui si contano i 3.750 per mano dei fulani e i 2.050 massacrati dai jihadisti di Boko Haram. La realtà sul campo, nella Nigeria sempre più divisa secondo pericolose linee di faglia religiose, porta a ritenere che il modello preso a esempio sia davvero quello ruandese.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.