Foto di Giorgio Montersino via Flickr

Mekka Deutschland. E i ministri della Spd tedesca aprono al burkini

Giulio Meotti

L’idea del ministro della Famiglia. Contraria la Cdu di Merkel

Roma. Ieri Andrea Nahles, leader del Partito socialdemocratico tedesco (Spd), ha dichiarato che non esclude che in Germania si debbano tenere nuove elezioni. Il governo rischia, infatti, di implodere a causa delle tensioni sull’immigrazione tra la cancelliera Angela Merkel e il suo ministro dell’Interno, Horst Seehofer, leader dell’Unione cristiano-sociale della Baviera. Ma il governo tedesco litiga anche sull’integrazione.

 

Due giorni fa, il ministro tedesco della Famiglia, Franziska Giffey, esponente della Spd, ha aperto per la prima volta all’uso del burkini nelle piscine pubbliche. Si tratta del celebre costume nato dell’ingegno di un’immigrata libanese che voleva permettere alla nipote di fare sport senza violare le regole dell’ortodossia islamica sul pudore femminile. Una scuola nel Nord Reno-Vestfalia ha ordinato uno stock di burkini in modo che le sue studentesse musulmane potessero frequentare le lezioni di nuoto, visto che si rifiutavano di frequentarle in presenza dei ragazzi. Così il Pestalozzi-Gymnasium di Herne, nel nord della Germania, ha innescato un nuovo acceso dibattito sull’integrazione.

 

Il direttore della scuola, Volker Gößling, ha giustificato la decisione di acquistare i burkini in un’intervista al quotidiano Westdeutsche Allgemeine Zeitung, dicendo: “Così nessuno avrà una scusa per perdere le lezioni”. D’accordo la sezione regionale dell’Unione per l’Istruzione e la Scienza, che ha sostenuto la decisione della scuola, descrivendola come un “successo per l’integrazione”.

 

“La cosa più importante è il benessere dei bambini, e questo significa che tutti imparino a nuotare” ha detto il ministro Franziska Giffey, già sindaco di Neukölln, uno dei quartieri di Berlino più multicuturali. Le ha risposto Julia Klöckner, ministro dell’agricoltura tedesco e membro della Cdu di Merkel, che ha denunciato l’iniziativa definendola “misogina”: “Queste situazioni non fanno altro che cementare l’atteggiamento discriminatorio nei confronti delle donne, e lo fanno in quello stesso luogo in cui bambini e giovani dovrebbero imparare l’opposto e dovrebbero poter crescere e svilupparsi liberamente”.

Ad appoggiare il ministro della Famiglia c’è Aiman ​​Mazyek, presidente del Consiglio centrale dei musulmani in Germania, che ha detto: “L’idea di consentire il burkini è un compromesso ragionevole e accettabile”. Dura invece Serap Güler, ministro dell’Integrazione per lo stato del Nord Reno-Westfalia, che ha parlato di “segnale sbagliato” e di “fraintendimento della tolleranza”. Anche l’esperto di islam Ahmad Mansour ha parlato contro la proposta di Giffey: “Certo, hanno bisogno di imparare a nuotare, ma senza simboli di oppressione”.

 

A dicembre, Angela Merkel aveva detto di voler vietare i burka in Germania. In un discorso alla convention del suo partito, la Merkel annunciò che “la nostra legge ha la precedenza sui codici d’onore, sulle regole tribali o familiari e sulla legge della sharia”, facendo eco all’allora ministro dell’Interno tedesco Thomas de Maizière, che aveva spiegato che il burqa non apparteneva “al nostro paese cosmopolita”. Ma questo avveniva prima della formazione del nuovo governo di coalizione con i socialdemocratici. E ora il dibattito sull’immigrazione e l’integrazione, che all’apparenza si consuma al largo delle coste libiche e sulle navi dei migranti, entra nel vivo della società tedesca, come non succedeva da quando Jochen Hartloff, allora ministro dell’Interno della Renania-Palatinato per l’Spd, aveva detto che la sharia, in una “forma moderna”, è accettabile in Germania. Secondo Hartloff, il codice morale islamico “è certamente contemplabile quando si tratta di questioni relative alla legge civile”.

 

Il rischio è la Mekka Deutschland, come lo Spiegel aveva intitolato la sua copertina del 2005 quando Merkel venne eletta per la prima volta cancelliera, dipingendo la mezzaluna sopra la Porta di Brandeburgo.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.