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Cosa c'entrano i polli con i rapporti tra Ue e Ucraina

Micol Flammini

Un oligarca ucraino s’è approfittato dell’accordo commerciale con l’Unione europea, un petto di pollo alla volta

Roma. La fiducia tra Bruxelles e Kiev si regge su accordi delicati, accortezze e sospetti legittimi. L’Unione europea sta cercando di portare l’Ucraina dalla sua parte, ma con cautela. C’è ancora tanta corruzione, ci sono istituzioni democraticamente incerte e un rapporto con Mosca complicato e confuso. Che un giorno anche l’Ucraina possa entrare a far parte del blocco comunitario è un pensiero che ai vertici dell’Unione qualcuno ha già fatto, ma bisogna aspettare e mettere Kiev alla prova. Questo era il senso di un accordo commerciale che l’Ue aveva siglato con l’Ucraina nel 2016 e riguardava le esportazioni di pollame. Per proteggere gli allevatori europei, Bruxelles ha imposto dazi e quote di importazione limitate, dando però a Kiev la possibilità di continuare a esportare senza ulteriori imposizioni tagli di pollo con ossa. L’Unione europea voleva impedire che Kiev esportasse petti di pollo, la parte dell’animale più pregiata e senza osso. Così gli allevatori europei saranno tutelati, pensava Bruxelles, e avranno il monopolio nel settore. Yuri Kosiuk, un oligarca ucraino, proprietario della Mhp, un’azienda che produce più della metà del pollame di tutta la nazione ha trovato però il modo di aggirare l’accordo stretto con Bruxelles. In questi due anni, il miliardario ha continuato a esportare petto di pollo senza essere soggetto ai dazi, d’altronde era incredibilmente semplice: bastava mandare in Europa un taglio che comprendesse il petto e l’osso dell’ala, poi una volta in Europa, era sufficiente togliere la parte ossuta e voilà, il taglio con osso, esportato senza dazi proprio perché con osso, si trasforma in un pregiato petto di pollo in grado di fare concorrenza al pollame delle aziende europee. Un cavillo semplice da scovare, un buco nell’accordo che ha permesso a Kosiuk di triplicare i suoi guadagni. Secondo i dati sul commercio diffusi dalla Commissione, nel 2015 l’Ucraina non esportava tagli con osso, poi nel 2016 è arrivata a 3.500 tonnellate e nel 2017 le esportazioni sono state 27.000 tonnellate. Beffata l’Unione e beffati gli allevatori, l’oligarca si è approfittato per due anni del mercato europeo in modo legale. Ma forse l’Europa potrebbe aver imparato una lezione importante. L’accordo con l’Ucraina non serviva soltanto a tutelare il commercio comunitario: era una prova. Bruxelles aveva deciso di dare a Kiev un’opportunità, le agevolazioni commerciali – ancora non si sa quali provvedimenti verranno presi ora – servivano ad accompagnare lo sguardo dell’Ucraina verso una nuova traiettoria politica, a spianarle la strada verso l’occidente per tirarla fuori dall’orbita strategica di Mosca. Nessuno si era accorto delle falle del patto e Kiev ha operato nella legalità dell’accordo, tradendone però lo spirito e le promesse.

 

Bruxelles non si aspettava di certo che gli esportatori avrebbero trovato dei cavilli, né che i negoziatori avrebbero redatto un accordo fallace: “Sono state consultate le industrie, e le linee tariffarie sono state esaminate con cautela”, ha detto il portavoce della commissione a Politico. Ma forse Kosiuk qualche segnale lo aveva lanciato: mentre l’Ue e l’Ucraina si accingevano a sottoscrivere l’accordo, il miliardario aveva fatto presente che per un paese che produce 1,2 milioni di tonnellate di pollo, limitare la sua capacità di esportazione con dei dazi è un’elemosina. E aveva avvertito che l’Europa “non può continuare a nascondersi dietro a una recinzione” e aveva promesso che sarebbe riuscito ad aumentare le esportazioni della sua azienda con le buone o con le cattive. Ed è stato di parola.

 

L’accordo era nato due anni dopo le proteste anti corruzione ed europeiste che avevano fatto nascere le premesse per una rivoluzione in Ucraina – c’era una grande sintonia tra Kiev e Bruxelles, sentita in modo particolare dagli europei – e dopo che la Russia era riuscita ad annettere la Crimea con un referendum illegittimo. Il patto commerciale era il tentativo di far sentire Kiev un po’ più vicina, di darle delle opportunità economiche, di farla sentire protetta e parte di un blocco. L’accordo era una promessa, che però non è stata reciproca. Bruxelles non si sarebbe mai aspettata un tradimento di questa portata, più una beffa che una truffa, che ha fatto arrabbiare gli allevatori e ha sollevato molti dubbi sulle modalità con cui l’Unione stringe i suoi legami commerciali.

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