Il valico di Rafah tra l'Egitto e la striscia di Gaza (foto LaPresse)

L'Egitto ha un buon motivo per tenere a bada Hamas, e si vede

Rolla Scolari

Il Cairo usa toni duri (e minacciosi) per contenere il gruppo palestinese a Gaza. L’intesa con Israele e la priorità del Sinai

Milano. Dopo il lunedì di violenza lungo il reticolato che separa Gaza da Israele, l’intensità delle proteste e il numero di manifestanti sono diminuiti. All’origine del ritorno alla calma, c’è la mediazione del vicino Egitto. Il Cairo aveva già provato domenica a mediare, quando “la marcia del ritorno” e le manifestazioni palestinesi non erano ancora cominciate, ma era già partita la mobilitazione da parte di Hamas, il gruppo islamista che controlla la Striscia di Gaza. Il capo dell’intelligence egiziano, il generale Abbas Kamel, ha convocato una delegazione di Hamas, guidata da uno dei sui leader, Ismail Haniyeh, per convincere il movimento a cancellare la marcia di lunedì. Gli egiziani avrebbero offerto in cambio l’allungamento dei tempi di apertura del valico di Rafah tra Gaza ed Egitto, finora aperto meno di una settimana al mese a causa dell’embargo imposto sulla Striscia da Israele e dal Cairo.

  

Secondo fonti riportate in queste ore dalla stampa israeliana, non si sarebbe trattato di un incontro cordiale: due ore di toni poco pacati. I vertici di Hamas sono tornati a Gaza senza accettare l’offerta e cancellare la manifestazione, e il resto è noto: lunedì migliaia di manifestanti si sono avvicinati tra il fumo nero dei copertoni bruciati e il lancio di sassi al reticolato di separazione con Israele, e i tiratori israeliani hanno sparato uccidendo oltre 60 palestinesi, 50 dei quali, secondo la leadership della Striscia, membri delle milizie di Hamas.

   


Lavoratori palestinesi installano filo spinato lungo il confine con l'Egitto vicino alla striscia di Gaza, agosto 2017 (LaPresse)

  

I tentativi di mediazione egiziani sarebbero ricominciati proprio nel pomeriggio di lunedì, telefonicamente, mentre il numero delle vittime saliva. A rivelare il ruolo dell’Egitto sono stati sia i vertici palestinesi sia i politici israeliani. Il leader di Hamas Yahya Sinwar ha raccontato in un’intervista ad al Jazeera, emittente del Qatar (anche l’emirato avrebbe svolto un ruolo di mediazione), come l’Egitto abbia contribuito a sgonfiare le violenze. Dall’altra parte, il ministro dell’Intelligence israeliano Yisrael Katz ha fornito più dettagli. Il Cairo avrebbe in un certo senso minacciato Hamas, informando i suoi vertici di avere prove su come il movimento avrebbe finanziato le manifestazioni e istigato la folla a convergere verso la barriera. L’Egitto, ha detto Katz alla radio militare israeliana, avrebbe “inequivocabilmente” detto a Ismail Haniyeh che, “se la situazione fosse proseguita, Israele avrebbe preso misure molto dure e l’Egitto si sarebbe fatto da parte”. Benché il Cairo, come tutta la comunità internazionale, abbia condannato l’eccessivo uso della forza da parte dell’esercito israeliano, la posizione del regime del presidente Abdel Fattah al Sisi nei confronti di Israele è stata contenuta rispetto a quella di altri paesi della regione. Soltanto mercoledì, due giorni dopo l’effettivo trasferimento da Tel Aviv, il generale ha dichiarato che la controversa apertura dell’ambasciata americana a Gerusalemme potrebbe fomentare “una certa instabilità”.

    

L’Egitto ha un interesse immediato nel mantenere la situazione calma a Gaza e rapporti solidi con il vicino israeliano. A inizio mese, il suo esercito ha informato i vertici militari israeliani di un rafforzamento della presenza dei soldati egiziani lungo i confini, nella instabile provincia del Sinai. Da febbraio è in corso nel nord della penisola un’operazione contro gruppi jihadisti. Un attacco contro una moschea della zona, a novembre, ha ucciso quasi 300 persone. E ora il regime è preoccupato: teme che con il collasso dello Stato islamico in Iraq e Siria decine di uomini armati possano trovare rifugio nell’area. Benché il trattato di pace tra Israele ed Egitto siglato nel 1979 preveda che il Sinai resti una zona demilitarizzata, in caso di emergenze nazionali e in presenza di un’intesa tra le parti è possibile un aumento di truppe. Dal 2013, il regime del Cairo cerca di debellare dalla penisola la presenza jihadista, e per questo la cooperazione militare con Israele è fondamentale, quanto il fatto che a Gaza regni la calma.

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