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Siamo due maverick, ci riconosciamo. Macron, Trump e la strategia “special friend”

Paola Peduzzi

“Abbiamo questa special relationship perché entrambi siamo probabilmente dei maverick del sistema" ha detto il presidente francese

Milano. La nostra è una relazione speciale, siamo due maverick, ci riconosciamo, ha detto il presidente francese Emmanuel Macron parlando del collega americano, Donald Trump, durante l’intervista a Fox News che ha inaugurato la prima visita di stato della presidenza Trump. Il maverick per antonomasia negli Stati Uniti è il senatore repubblicano John McCain, che ha regalato a Trump qualche mal di stomaco, ma almeno per due giorni il titolo di irregolare tocca a Macron: “Abbiamo questa special relationship perché entrambi – ha detto – siamo probabilmente dei maverick del sistema. L’elezione di Trump era inattesa nel suo paese e forse anche la mia lo era nel mio. Non facciamo parte del sistema politico classico”, e questa dissidenza dalle aspettative collettive fa da collante alla strana coppia. La sintonia era già stata chiara alla festa della presa della Bastiglia, lo scorso anno a Parigi: il presidente francese rimase colpito da Macron e soprattutto dalla grandeur francese, da quel momento ha iniziato a chiedere parate militari come quelle che fanno i francesi e per la cena ufficiale ha scelto la residenza di Mount Vernon, per replicare la serata estiva passata al ristorante in cima alla torre Eiffel.

 

Forma a parte, Macron vuole consolidare il ruolo cui ambisce a livello internazionale, che è quello di ponte tra Europa e America, in un momento di grande incomunicabilità sul deal iraniano, sui dazi, sul futuro della Siria, sul rapporto con la Russia, sui trattati commerciali e quello sul clima. Mentre molti leader dicono che con un’America così conviene rimboccarsi le maniche e far per conto proprio – come ha detto la cancelliera tedesca Angela Merkel, in arrivo giovedì a Washington – Macron vuole essere il suggeritore di Trump, l’amico che ti convince su quel che è meglio per te, e per tutti. Al suo ultimo tentativo – ho convinto Trump a lasciare le truppe in Siria, ha detto – Macron è stato bacchettato, con ferma gentilezza, ma ha deciso di insistere. Sul deal iraniano non esistono “piani B”, possiamo smussare gli spigoli dell’accordo che c’è, ma non buttarlo via; sulla Siria vogliamo costruire insieme un futuro che non sia appannaggio di Iran e Russia (si è preso di imperalista anche Macron, così); il liberalismo dei difetti grandi, ma chiuderci anche sui commerci non ci farà bene. Ce la farà, Macron, o finirà per accontentarsi di una convivenza pacifica e poco visionaria? Tra gli articoli più letti di questi giorni ce n’è uno del magazine Atlantic che sostiene che Macron sarà il nuovo Tony Blair per l’alleato americano, e non è inteso in modo positivo. Ma il presidente francese parte alto, siamo due maverick, parliamo la stessa lingua, ci riconosciamo, anche se il macronismo e il trumpismo sono due mondi opposti: cagnolini qui ancora non ce ne sono.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi