Due manifestanti della protesta di Londra, "Stop the War" (foto LaPresse)

I pacifisti d'oggi sono un po' putiniani un po' assadisti. Eccoli in piazza a Londra

Paola Peduzzi

Mentre i Comuni dibattevano su un eventuale voto sul blitz di sabato Stop the War ha organizzato una manifestazione a Parliament Square, al grido “Don’t bomb Syria”

Milano. Lunedì Theresa May, premier britannico, è andata ai Comuni per difendere il blitz militare di sabato contro le installazioni chimiche del regime siriano di Bashar el Assad cui il Regno Unito ha partecipato assieme all’America e alla Francia. Abbiamo difeso “l’interesse nazionale”, ha detto la May, e l’attacco era “la cosa giusta da fare” in difesa del diritto internazionale – non si possono utilizzare armi chimiche – e dei diritti umani del popolo siriano, che subiscono da sette anni le bombe (convenzionali e no, con i chiodi dentro e no) e gli assedi del regime. La May ha deciso di partecipare al raid con gli alleati senza passare dal Parlamento e per questo l’opposizione la mette sotto pressione da sabato. Lunedì il Labour ha pubblicato un parere legale che definisce il blitz “fuori dalla legge”, mentre il suo leader Jeremy Corbyn, in un articolo sul Guardian pubblicato lunedì (ma era già stato ai talkshow della mattina della domenica a dire la stessa cosa), scrive: l’attacco “o è stato puramente simbolico – la demolizione di palazzi vuoti – e ha già mostrato quanto è stato inefficace come deterrente. Oppure prelude a un’azione militare più vasta. Questo aumenterebbe il rischio di un’escalation fuori controllo della guerra e delle vittime oltre che quello di un confronto diretto tra Russia e Stati Uniti. Nessuna di queste alternative offre una fine delle sofferenze o alcuna prospettiva di salvare vite, semmai il contrario”. Mentre Damasco e la Russia impedivano agli ispettori dell’Opcw di entrare a Duma per la missione “fact finding” sull’attacco chimico, Corbyn chiedeva “un allontanamento dalla retorica di un confronto senza fine contro la Russia” che “potrebbe far abbassare la temperatura e rendere più probabile un consenso all’Onu su un’azione multilaterale che ponga fine all’agonia della Siria”.

 

Mentre i Comuni dibattevano su un eventuale voto sul blitz di sabato – sarebbe comunque un voto non vincolante, una conta in un consesso in cui contarsi è l’attività principale – Stop the War organizzava una manifestazione a Parliament Square, al grido “Don’t bomb Syria”: nel volantino si ricordava che “la maggior parte degli inglesi è contro il bombardamento di facciata illegale che c’è stato in Siria”. La settimana scorsa, mentre si preparava il raid, YouGov ha pubblicato un sondaggio che diceva che soltanto il 22 per cento degli intervistati era a favore dell’operazione militare.

 

Come si sa Corbyn è cresciuto dentro Stop the War, ha avuto dei ruoli formali, ha partecipato a molte proteste, ha parlato su palchi in cui sventolavano bandiere assadiste. Stop the War è una delle poche organizzazioni che ancora si riunisce in piazza: il movimento arcobaleno, che per anni ha raccolto testimonial e pubblico in tutto l’occidente contro la guerra, oggi non esiste più. Quel che resta – come Stop the War – non si schiera contro le bombe di Assad e nemmeno contro quelle dei russi in Siria o in Ucraina, ma quando partono i missili degli alleati occidentali è rapido nella condanna con megafoni e cartelloni. Non accade soltanto nel Regno Unito: anche da noi s’è alzato un coro contro l’intervento militare e a favore di una soluzione diplomatica all’Onu – come se non si negoziasse al Palazzo di vetro da sette anni per fermare lo scempio umanitario di Assad, come se non si fossero notati i veti posti dalla Russia a ogni tentativo che andasse oltre a tregue circoscritte nel tempo (che servivano a sgombrare il campo dai cadaveri). Il pacifismo oggi non si nasconde più, basta ascoltare Corbyn che ne è sintesi esatta: le bombe occidentali devono finire, gli americani sono imperialisti ora venati di follia trumpiana quindi ancora più pericolosi, la Nato farebbe bene a smetterla di occuparsi del fronte a est, quello vicino alla Russia, perché ogni sua azione è una provocazione. E i russi e gli assadisti? Combattono il terrorismo, “nostra priorità”, le loro bombe vanno bene.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi