La signora della Cia

Paola Peduzzi

Le polemiche su Gina Haspel riaprono la ferita delle operazioni dell’Agenzia. La rettifica da leggere di ProPublica

Milano. Le audizioni di Gina Haspel al Senato americano saranno un viaggio doloroso nel passato, nella storia americana del dopo 11 settembre, nelle operazioni di anti terrorismo dell’Amministrazione Bush, quelle poi sospese, quelle riviste, quelle modificate, quelle rimaste immutate. La Haspel è stata nominata dal presidente Donald Trump come prossimo capo della Cia (l’attuale, Mike Pompeo, andrà al dipartimento di stato): sessantuno anni, entrò nell’Agenzia nel 1985, nella divisione dell’Europa centrale, e in seguito ha ricoperto molti ruoli, in Turchia, in Asia centrale, per due volte a Londra, poi a New York (era la responsabile dell’ufficio quando Osama bin Laden fu ucciso: ebbe un ruolo importante nell’analisi dei documenti ritrovati nel covo di Abbottabad) fino a diventare il numero due della Cia. Determinata, competente, ambiziosa, schietta ed esperta, la Haspel si confronta da più di trent’anni con la politica e i politici americani: questa volta però è diverso, perché le audizioni al Senato, che le valgono la conferma oppure no, saranno l’occasione per i senatori di interrogare una persona direttamente coinvolta nelle rendition, nelle prigioni segrete, nel waterboarding (“non la invidio per niente”, ha detto Robert Eatinger, ex capo degli avvocati nel centro di anti terrorismo della Cia). Da quando è stato fatto il nome della Haspel alla guida dell’Agenzia, l’appellativo più utilizzato è stato “torturer”, la torturatrice, l’espressione più frequente è stata “protagonista del capitolo più buio della storia ‘americana’ e per evitare che ci fosse troppa enfasi sulla “prima donna a capo della Cia” Mona Eltahawy ha sancito sul New York Times: Gina Haspel non è una vittoria del femminismo.

 

La Haspel ha avuto un ruolo rilevante nelle operazioni di controterrorismo della Cia dal 2001, come buona parte dei funzionari più senior e degli agenti segreti che operano nell’Agenzia da decenni. Interrogatori durissimi, waterboarding, Guantanamo, rendition in paesi stranieri: abbiamo negli anni scoperto tutto, analizzato tutto, e poi un pochino dimenticato che quando il programma di interrogatori cominciò – nel marzo del 2002, quando fu catturato Abu Zubaydah, membro di al Qaida, in Thailandia – non era soltanto l’Amministrazione Bush a pensare che ogni metodo fosse necessario per impedire un altro attacco: ne erano convinti anche deputati, senatori, e l’opinione pubblica. Gli eccessi, gli abusi di potere, gli sberleffi sui prigionieri, questi no, non erano considerati necessari né sono stati tollerati, anzi: sono stati denunciati, e sono stati presi provvedimenti nei confronti dei responsabili. Le ombre però sono rimaste (così come l’esercito di avvocati ed esperti dell’Amministrazione Obama non è riuscito a chiudere Guantanamo, simbolo del buio bushiano) ed è su quelle che verteranno le audizioni della Haspel, che è considerata un’ottima professionista anche da parte di molti democratici, ma che ha oggi il compito di gettare una luce su attività che per loro natura al sole non risultano mai belle, e in questo caso erano anche al di fuori della legge – precisando al contempo il proprio coinvolgimento, che al momento risulta grande.

 

E’ anche per questo, per la delicatezza dell’argomento, per il peso che torture, prigioni segrete, rendition hanno sulla coscienza americana e sulla sua immagine all’estero, che ogni dettaglio sulla storia della Haspel è importante. Nel febbraio dello scorso anno, ProPublica, sito non profit di inchieste da Pulitzer, aveva pubblicato un articolo in cui raccontava che la Haspel guidava la supervisione della prigione segreta in Thailandia in cui Zubaydah fu interrogato con il waterboarding, e che si prese gioco del detenuto, sfottendolo perché sbavava. La fonte principale di quella notizia era il libro di James Mitchell, un contractor psicologo della Cia che aiutò a dirigere quegli interrogatori, che tre giorni fa in tv ha detto che quando parlava del supervisore, non si riferiva alla Haspel. La Haspel arrivò in quella prigione alla fine del 2002, quando il waterboarding di Zubaydah era già finito, ma era in corso ancora quello di un altro detenuto, Abd al Rahim al Nashiri (che ha subìto il trattamento tre volte), e ha firmato l’autorizzazione alla distruzione dei 92 nastri registrati durante le torture. Di queste responsabilità dovrà rendere conto, ma le frasi del direttore di ProPublica restano comunque significative, in una stagione in cui ogni dettaglio non confermato diventa verità e ogni sentito dire diventa prova: “Il nostro errore è particolarmente inopportuno – ha scritto Stephen Engelberg – perché infanga un dibattito nazionale importante sulla Haspel e sulla storia recente della Cia. Chiediamo scusa a lei e ai nostri lettori, correggiamo l’articolo e in futuro faremo meglio”.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi