Sergei Skripal

Le mille spystory di Londra

Cristina Marconi

Una ex spia russa e sua figlia trovati agonizzanti su una panchina. I tanti precedenti, le indagini di Scotland Yard e il super 007 che tiene insieme tutti i fili

Londra. Ci risiamo: si va avvelenando gente russa in giro per il Regno Unito. Ancora non è sicuro, ma vista la reazione furiosa del ministro degli Esteri inglese, Boris Johnson, davanti al ritrovamento di una ex spia russa e di sua figlia agonizzanti sulla panchina di un centro commerciale il sospetto è che nessuno pensi a un’intossicazione da fish and chips. La mente corre subito al tè verde al polonio-210 di Sasha Litvinenko nel 2006 o a quel tale Georgi Markov, un bulgaro, assassinato con un ombrello avvelenato nel 1978, perché tra Londra e i russi il legame è stretto e il governo ha dovuto fare la voce grossa più di una volta per contenere la tendenza a fare della capitale britannica il teatro di regolamenti di conti vari.

 

Per tutto il resto Londongrad resta molto accogliente, fin troppo: il Regno Unito concede visti di tre anni a chi investe più di un milione di sterline in titoli statali ed è ormai casa per tutti quei nostalgici oligarchi dalle attività più o meno trasparenti che non potendo rientrare in patria se ne stanno a Chelsea e a Belgravia a spendere miliardi e, in qualche caso, a farsi la guerra, come raccontato recentemente da una serie Bbc di enorme successo, “McMafia”, che parla di servizi segreti e traffici sanguinari ma non attacca mai il Cremlino.

 

Ogni tanto qualcosa sfugge di mano – un businessman preso a colpi di pistola mentre esce dalla macchina, uno crollato al suolo mentre corre con del gelsemium velenoso in corpo – e soprattutto c’è lui, il caso mai risolto, il padre di tutti gli oligarchi, quel Boris Berezovski che stava cadendo talmente tanto in disgrazia che si sarebbe suicidato. L’hanno trovato impiccato in bagno, la polizia ha lasciato aperte le porte a ogni ipotesi, un anno dopo un suo socio, Scot Young, uno che lo aiutava a riciclare denaro e aveva fatto miliardi lavorando con i russi è finito impalato su una cancellata dopo essere caduto dalla finestra di casa sua a Marylebone. Suicidio, certo. Buzzfeed sostiene che le morti sospette siano di più, ben 14, compreso un medico inglese che aveva contribuito a capire cosa avesse ingerito il povero Litvinenko, ma che le autorità britanniche abbiano ignorato le segnalazioni dell’intelligence americana, tutte molto chiare anche sul dossier Berezovski, perché i rapporti con Mosca già sono quello che sono, e un’escalation non conviene a nessuno, o almeno non conveniva all’allora premier David Cameron e alla sua ministra Theresa May che citava le “relazioni internazionali” come fattore da tenere in conto nel gestire il dossier.

 

Ma non tutte le morti si possono archiviare come “suicidio” o “infarto” e allora tocca urlare, come per le interferenze politiche, su cui la premier Theresa May ha avuto uno dei suoi rari momenti di chiarezza oratoria quando un anno fa ha accusato Mosca di “far circolare storie false” per “seminare discordia in occidente”, aggiungendo che nessuno vuole una nuova Guerra fredda ma che “sappiamo quello che state facendo e non avrete successo”. E ora ci sono Yulia Skripal, trentenne con il viso carino, e suo padre Sergei, di sessantasei, vecchio colonnello che passava i nomi delle spie russe all’MI6 e che per questo era stato condannato in Russia a tredici anni di carcere, prima di essere scambiato – ma probabilmente mai dimenticato – con altre tre spie in cambio di dieci agenti russi negli Stati Uniti, tra cui la leggendaria Anna Chapman dai capelli rossi. Sono stati ritrovati a delirare in pieno giorno in una cittadina di provincia sotto effetto, secondo quanto circolato in un primo momento, di pesanti oppiacei, dopo che la moglie, il fratello e il figlio di Skripal sono morti tutti nel giro di pochi anni, alcuni in circostanze non chiarissime. Scotland Yard ha reagito con una battuta – “anche gli esiliati russi a un certo punto muoiono” – prima di lasciare le indagini all’antiterrorismo. “Capiamo la situazione tragica ma non abbiamo informazioni su quello che avrebbe potuto portare a tutto questo, su quello che stava facendo”, ha spiegato Dimitri Peskov da Mosca. Londra, mostrando di non essere troppo convinta, ha lasciato al cagnaccio Johnson la risposta, iniziata citando subito Litvinenko, un caso su cui Londra ha reagito con crescente durezza fino a quando nel 2016 l’inchiesta pubblica sul caso, fortemente voluta dalla vedova Marina, ha stabilito che l’ex spia era stata uccisa con il via libera del Cremlino, di Vladimir Putin stesso probabilmente. “Se dovessero emergere prove che indicano una responsabilità dello stato, il governo di Sua Maestà risponderà in maniera adeguata e robusta”, ha tuonato martedì Johnson, promettendo di far luce anche sulla tesi sostenuta da Buzzfeed: “Dico ai governi di tutto il mondo che nessun tentativo di strappare vite innocenti sul suolo britannico rimarrà impunito”.

 

Con le elezioni russe del 18 marzo che si avvicinano, c’è un preoccupante fermento nell’aria, fermento che Mikhail Khodorkovsky, in un'intervista di martedì al Daily Beast, spiega suggerendo che Putin sia entrato in una nuova fase: “Si vede sulla scena internazionale, minaccia i governi stranieri, costringendoli ad amarlo”. E Londra sembra essere il teatro di ogni intreccio. Basti pensare a Rob Goldstone, corpulento addetto stampa di un musicista figlio di un uomo d’affari russo e intermediario nell'organizzare l'incontro tra Donald Trump Jr e un’avvocatessa russa. Solo un “utile idiota”, si è definito il cittadino britannico, raccontando come fin da subito avesse avuto il sospetto che fosse meglio tirarsi indietro dall’operazione. O a Christopher Steele, l’uomo che aveva guidato le indagini dell’MI6 nella morte di Litvinenko e anche l’uomo del dossier incendiario sui legami russi di Donald Trump. E anche l’uomo che potrebbe aver reclutato Skripal a Mosca in passato. E anche, infine, l’oggetto di un lungo e approfondito articolo del New Yorker uscito proprio pochi giorni fa, dove tra le altre cose si rivela che Steele, che ha fondato una sua agenzia di intelligence nel 2009, avrebbe scritto alla fine del 2016 un memo in cui si denunciano le pressioni di Mosca per nominare qualcuno di più filorusso di Mitt Romney come segretario di stato, coi risultati che si conoscono. Ora, secondo la stampa, i servizi lo starebbero sentendo sul caso di Salisbury, ennesimo capitolo fumoso di una storia con cui prima o poi Londra dovrà fare seriamente i conti, e pazienza che in tempi di Brexit non ci si possa fare nuovi nemici. Nel frattempo si potrebbe non andare ai Mondiali di calcio come se niente fosse, ha suggerito Boris Johnson. Prima di ridimensionare la minaccia: si potrebbe andare senza il principe William, ecco.