I curdi siriani durante i funerali dei combattenti della milizia delle Unità di protezione popolare (YPG) e delle Unità di protezione delle donne (YPJ). Afrin, 18 febbraio. Foto LaPresse

I curdi sono schiacciati dal gioco cinico tra i governi vincenti

Daniele Raineri

Piuttosto che cedere davanti ai turchi, aprono le porte alle milizie filoIran. Assad li aiuta a nord e li attacca a est

Roma. Il conflitto siriano è entrato in una nuova fase, molto disorientante. I curdi del cantone di Afrin si sono resi conto di non potere resistere alla pressione militare dei soldati turchi e dei gruppi di ribelli siriani loro alleati (più che di un’alleanza, sarebbe a questo punto meglio parlare di un rapporto di vassallaggio). L’operazione militare “Ramo d’ulivo” della Turchia è molto lenta, ma rosicchia territorio a ritmo costante e gode di copertura aerea, quindi per i curdi non era rimasta che una soluzione: aprire le porte alle forze del presidente Bashar el Assad. I curdi non volevano tornare sotto il controllo pieno di Assad, perché nella Siria pre rivoluzione del 2011 subivano discriminazioni dal governo: la loro lingua non era riconosciuta e Damasco negava a una gran parte di loro i documenti d’identità, per limitarne i movimenti. Se però l’alternativa è la vittoria dei turchi, i nostri nemici storici, devono aver pensato nel comando generale curdo di Afrin, allora scegliamo l’opzione Assad. Del resto il Pkk, il partito fuorilegge del Kurdistan, ha vecchi legami con Damasco, che negli anni d’oro riusciva a ospitare tutte le fazioni terroristiche della regione, dagli sciiti di Hezbollah ai palestinesi di Hamas ai sunniti internazionalisti di al Qaida fino appunto ai guerriglieri comunisti curdi.

   

Che accorrere in soccorso di Afrin si tratti di un calcolo cinico da parte del regime è chiaro come il sole: in un’altra zona della Siria, vicino Deir Ezzor, gli assadisti stanno infatti attaccando i curdi per farli sloggiare dalle zone ricche di campi petroliferi che i curdi stessi hanno strappato in tre anni di guerra allo Stato islamico. Proprio ieri il ministero della Difesa russa ha ammesso dopo due settimane di silenzio imbarazzato che decine di contractor russi sono ricoverati negli ospedali in Russia dopo il fallito assalto a un comando curdo protetto dall’aviazione americana. I contractor russi erano la spina dorsale di una forza di cinquecento miliziani schierati con Assad. Quindi gli assadisti appoggiano i curdi di Afrin in chiave anti turca e assaltano i curdi nell’est in chiave antiamericana. Così funziona il conflitto in Siria. E c’è di più. Quando i curdi nei cantoni dell’est vogliono andare a combattere nell’ovest, ad Afrin, allora cessano di essere nemici e ricevono trasporti e piena libertà di movimento da parte del regime, che controlla le aree fra le due diverse zone.

  

Le forze assadiste che sono entrate ad Afrin per ora non sono parte dell’esercito regolare, e questo in qualche modo renderà più facile trattare con il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, che ha già minacciato il governo siriano: “Se vi mettete di mezzo, colpiremo anche voi”. E’ invece una milizia irregolare locale, la Liwa al Baqir, molto vicina al gruppo libanese Hezbollah e alle guardie della Rivoluzione iraniana – il corpo che si occupa delle missioni militari all’estero e non ufficiali dell’Iran. Gli iraniani sono contro i curdi nel vicino Iraq e ne hanno spento con brutalità i sogni d’autonomia dopo il referendum di settembre, ma come abbiamo visto è tutto fluido: in Siria invece appoggiano i combattenti curdi di Afrin, ma non i combattenti curdi a Deir Ezzor. A dare manforte secondo l’analista Aymenn al Tamimi potrebbero arrivare anche gli uomini della Muqawama Suriya, una fazione di comunisti turchi che nel 2013 si è macchiata di un massacro di civili sulla costa siriana.

  

Gli americani per ora si sono posizionati con i curdi, ma lontano da Afrin, e attendono di vedere cosa succede. Se la situazione sembra troppo complessa, potrebbe essere descritta così. I tre governi che hanno preso in mano la situazione siriana, Russia Turchia e Iran, non hanno ancora trovato un accordo solido e condiviso sulla questione curda e lo spezzettamento confuso del campo di battaglia nel nord e nell’est ne è la conseguenza. Sembrava tutto più facile, quando il nemico designato era soltanto il gruppo di fanatici decapitatori di Abu Bakr al Baghdadi.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)