Tank dell'esercito siriano vicino Deir Ezzor

Battaglia a Deir Ezzor

Daniele Raineri

L’ultimo assalto dello Stato islamico a una città assediata in Siria rivela le differenze tra russi e americani

Roma. Lo Stato islamico perde territorio dappertutto ed è in crisi militare, ha perso in Libia con la caduta della sua capitale di fatto Sirte all’inizio di dicembre e sta perdendo in Iraq dove da ieri non controlla più nemmeno un quartiere di Mosul a est del fiume Tigri – resta ancora da conquistare la parte ovest, che è la più infestata dallo Stato islamico, ma a questo punto è questione di tempo. C’è soltanto un settore dove il gruppo estremista vince ancora, ed è nella parte orientale della Siria, quella vasta zona di deserto che contiene poche città isolate e che gli analisti chiamano “la Siria inutile”, come contrapposta alla “Siria utile” che invece è la fascia costiera dove si concentrano le città e gli abitanti.

Quell’area include Palmira, la piccola città d’arte conquistata dallo Stato islamico a dicembre, e Deir Ezzor, sulla riva dell’Eufrate, una città molto più grande che è accerchiata totalmente dallo Stato islamico dal dicembre 2014. A Deir Ezzor ci sono non meno di centomila civili in stato d’assedio, una guarnigione militare e un aeroporto che in questi due anni è stato l’unico punto di accesso e di fuga. Gli abitanti pagano cifre esorbitanti ai soldati per lasciare la città, prima a bordo degli aerei cargo militari che atterravano sulle piste carichi di rifornimenti per tenere in vita gli assediati, poi a bordo degli elicotteri – perché gli aerei non atterrano più, sono troppo grandi e lenti, è troppo pericoloso da quando quelli dello Stato islamico hanno occupato le colline che affacciano sulle piste e sparano con le mitragliere.

Quello che succede a Deir Ezzor è un buon esempio per comprendere la differenza fra la guerra all’Isis combattuta dall’Amministrazione Obama e “la guerra all’Isis” come intesa dal governo russo. Tre giorni fa lo Stato islamico ha attaccato la città, ha tagliato la strada che porta all’aeroporto e ha anche preso alcune piccole guarnigioni. Come aveva fatto un mese fa a Palmira, ha prevalso sulle forze locali come se il governo siriano e gli alleati russi e iraniani stessero pensando ad altro. Deir Ezzor, se possibile, è ancora più isolata – niente più voli di elicotteri – e in pericolo di prima. E pensare che venerdì 6 gennaio il governo russo ha annunciato per la seconda volta (la prima fu a marzo) una diminuzione dell’impegno militare russo in Siria e che il capo di stato maggiore, il generale Valery Gerasimov, ha mandato le sue congratulazioni “per il successo nelle missioni assegnate”, vale a dire per l’appoggio fornito alle milizie sciite durante la presa di Aleppo – dove lo Stato islamico non c’è.

Si capisce perché il 12 gennaio Mike Pompeo, che è il capo della Cia nominato da Donald Trump, durante l’audizione davanti al Senato ha detto che “la Russia non ha dato alcun aiuto per sconfiggere e distruggere lo Stato islamico”. A questo punto, mentre l’Isis tenta con forza e con assalti a ripetizione un’ultima vittoria a Deir Ezzor, è probabile che quel fronte diverrà il teatro della prima azione militare ordinata dal neopresidente Trump, dopo l’inaugurazione di domani, e quindi della prima campagna aerea congiunta di Russia e America per salvare la città (jet americani bombardano lo Stato islamico nell’area, ma non assieme ai russi).

Nel primo pomeriggio di domenica 8 gennaio, una squadra delle Forze speciali americane – la Delta Force, che si occupa del settore Siria/Iraq – è atterrata con un paio di elicotteri su una strada a nord di Deir Ezzor per tentare di catturare Abu Anas al Iraqi, un leader iracheno dello Stato islamico molto discreto che si occupa delle finanze del gruppo. Al Iraqi era un consigliere del predecessore di Abu Bakr al Baghdadi fino al 2010 ed era in confidenza anche con il capo attuale – gli americani speravano di ottenere da lui informazioni per trovare al Baghdadi, ma il capo s’è fatto uccidere nello scontro a fuoco. I commando hanno preso tutto quello che poteva essere utile e sono ripartiti. Gli americani eseguono un numero infinito di queste operazioni, piccoli gioielli di intelligence e forza militare per distruggere la catena di comando dello Stato islamico, spendono miliardi in intercettazioni, droni e spionaggio in ambienti ostili, per non parlare degli aiuti agli alleati locali ma questa dottrina militare – che è applicata nei posti giusti – è in pratica invisibile rispetto alla roboante campagna del Cremlino, che ha molti fan e però è fuori centro rispetto alla lotta all’Isis e molto focalizzata su altri traguardi.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)