Matrioska con le immagini di Putin in un negozio di souvenir a Mosca (LaPresse)

Siamo assuefatti all'eccezionalismo russo e condoniamo tutto

Daniele Raineri

Dalla caccia ai dissidenti a Londra alla campagna contro le cliniche in Siria, Putin approfitta del nostro torpore

Roma. Nelle conversazioni a proposito della Russia spunta spesso “l’eccezionalismo russo”, vale a dire quel carattere nazionale diverso da tutti gli altri che nel corso dei secoli si è riflesso nei campi più disparati, dai capolavori della letteratura al valore guerriero. Non puoi capire davvero la Russia, è la risposta ricorrente, se prima non tieni in considerazione l’eccezionalismo russo. Quello della battaglia di Stalingrado, tanto per citare almeno un caso pratico, dove l’eroismo dei soldati russi contro l’armata nazista del generale Von Paulus si è conquistato un posto mistico nella memoria nazionale.

    

Il problema è che siamo così abituati all’eccezionalismo russo che ormai tendiamo a condonare qualsiasi cosa. Del resto sono russi, che ti aspettavi? Prendete per esempio la ormai famosa fabbrica dei troll di San Pietroburgo, vale a dire l’edificio dove più di un migliaio di dipendenti governativi fa i turni per scrivere commenti filorussi su tutta l’internet e per scrivere commenti minacciosi contro gli avversari del governo. Immaginate ora se il governo italiano facesse la stessa cosa: penseremmo di essere finiti in una distorsione della realtà, di avere imboccato la strada senza ritorno verso la perdizione politica, in fondo alla quale ci aspetta un misto tra una repubblica centroafricana degli anni Settanta e il controllo tecnoparanoico della Cina di Xi Jimping. Invece se lo fanno i russi crediamo che sia tutto sommato normale: mille e passa dattilografi di stato che insultano e spargono zizzannia su internet con busta paga del governo, perché qualcuno dovrebbe obiettare?

       

Oppure pensiamo a cosa succede in Siria, dove la Russia usa la tattica della terra bruciata contro enclave ribelli che contengono migliaia di civili. Cinque giorni fa Medici senza frontiere ha detto che nel 2018 gli aerei hanno bombardato 67 cliniche ed equipe mediche che si occupano di curare i feriti a terra – e siamo soltanto a marzo. Nel 2017 gli attacchi contro obiettivi medici erano stati 112. Ora, è l’aviazione russa a dettare tempi e modi della guerra in Siria, quindi che cosa potremmo dire di questa campagna deliberata contro gli ambulatori? Se qualche altra nazione facesse lo stesso ci sarebbero ondate di proteste. Quando gli americani colpirono un ospedale di Medici senza frontiere a Kunduz in Afghanistan nell’ottobre 2015 – dopo che i talebani avevano preso la città con la forza – i giornali ne parlarono per tre giorni, l’Amministrazione nominò una commissione d’inchiesta, il Pentagono ordinò un pagamento risarcitorio per tutte le famiglie delle vittime. Ma i russi sono russi e godono grazie a questa loro natura di un’immunità dallo sdegno permanente che riguarda tutto il resto del mondo. Forse se i piloti di Putin avessero molestato qualche attrice di Hollywood, ecco allora si potrebbe cominciare a pensare a un inizio di perplessità. Ma fra meno di cento giorni cominciano i Mondiali di calcio in Russia, l’unico nostro rammarico sarà piuttosto di essere stati esclusi dalla festa.

  

Prendiamo ancora il caso di Salisbury, dove un sicario o una squadra di sicari ha avvelenato una ex spia russa e sua figlia con un agente nervino molto tossico che ha mandato all’ospedale per accertamenti altre 21 persone. Anche se non fosse possibile dimostrare un collegamento con il governo russo – e anche se non esistesse alcun collegamento con il governo russo – basterebbe l’account su Twitter dell’ambasciata russa, che continua a farsi beffe delle indagini e a mandare messaggi provocatori, per chiedere: ma chi altro a parte i russi potrebbe uscire indenne da un caso diplomatico così imbarazzante? Immaginate l’ambasciata americana a Roma fare battute e prendere in giro gli italiani poche ore dopo il sequestro di un imam egiziano a Milano da parte dei servizi segreti americani, come accadde davvero nel 2003. Ma i russi sono russi e così vuole il comune sentire, che come spesso accade è piuttosto scemo. Se trattano Londra come un terreno di caccia ai dissidenti – ci sono più spie russe ora che durante la Guerra fredda, dice un articolo informato sul New York Times – e spargono un veleno letale noi tendiamo a fare spallucce.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)