i rilievi della scientifica sulla panchina a Salisbury, dove sono stati avvelenati ’ex spia russa Sergei Skripal e sua figlia (foto LaPresse)

Il mondo nuovo delle uccisioni di stato, dai terroristi ai soggetti scomodi

Daniele Raineri

Salisbury, il Kurdistan e Abbottabad, i commando come i droni

Giovedì 1° marzo a metà pomeriggio un comandante curdo impegnato da decenni nella lotta al governo dell’Iran è salito in auto assieme al figlio a Erbil, una città molto tranquilla nel nord dell’Iraq. Non si è accorto della bomba che una mano anonima aveva collegato all’auto, si è salvato con qualche ferita, suo figlio è morto preso in pieno dall’esplosione. I curdi scappati dall’Iran per mettersi al riparo dalla lotta con l’intelligence delle Guardie della rivoluzione ora dicono che è stato un assassinio mirato ordinato dal governo di Teheran, come è successo decine di volte a partire dagli anni Ottanta. Tre giorni dopo a Salisbury, a sud di Londra, l’ex spia russa Sergei Skripal e sua figlia si sono accasciati su una panchina perché erano stati avvelenati in qualche modo con l’agente nervino. Un poliziotto che li ha soccorsi è finito pure lui in ospedale, ieri centottanta militari inglesi sono stati mobilitati per ripulire con una procedura di sicurezza speciale la casa e l’auto di Skripal che potrebbero essere contaminate. Il sito americano Buzzfeed a giugno scorso ha visto un rapporto dei servizi segreti americani dal contenuto molto interessante considerati gli eventi di questi giorni: sostiene che quattordici persone che erano obiettivi della Russia sono state uccise in anni recenti in Gran Bretagna ma le loro morti sono state classificate come “non sospette” dalla polizia inglese (di queste non fa parte la morte di Aleksandr Litvinenko, ucciso con il polonio nel 2006 dall’intelligence russa).

 

In entrambi i casi, a Erbil e a Salisbury, si è trattato di operazioni mirate contro persone che erano considerate nemici dello stato e in entrambi i casi non è possibile attribuire con certezza la responsabilità, anche se si guarda rispettivamente all’Iran e alla Russia. Non sono episodi isolati, come si è visto. L’anno scorso a febbraio due donne hanno assassinato il fratellastro del dittatore della Corea del nord Kim Jong-un dentro l’aeroporto di Kuala Lumpur in Malesia premendogli sul volto un fazzoletto imbevuto con una sostanza letale e anche quella è stata un’operazione di eliminazione ordinata da un governo. Si sospetta che i servizi turchi siano coinvolti nell’uccisione di tre attiviste curde a Parigi nel 2013. E del resto, cosa è stata l’incursione notturna dei Navy Seal americani in Pakistan nel 2011 per uccidere il capo di al Qaida, Osama bin Laden, se non un esempio di operazione trova-e-colpisci eseguita con precisione da manuale?

 

Succede con gli assassini mirati dei nemici di stato che hanno tentato di nascondersi in un paese terzo quello che in questi anni è già accaduto con i droni armati: ci eravamo abituati al fatto che fossero una cosa buona perché li usavamo noi, noi inteso come governi occidentali, finché non li abbiamo visti finire in mano agli altri. Lucidi, economici e discreti, i droni hanno dato un vantaggio militare prezioso all’occidente in guerra con i gruppi terroristi. Ma ora che li hanno tutti, dalla Cina agli stessi gruppi terroristi, non c’è esperto che non parli con pessimismo della loro proliferazione. Ci dovremo abituare al rischio che siano usati per compiere attentati, e che cosa diremmo se presto li usasse l’esercito cinese in Tibet oppure l’esercito birmano contro i civili rohingya – cosa non improbabile?

 

Lo stesso discorso vale per le uccisioni mirate. A partire dal 2015 la Coalizione a guida americana gestisce dalla Giordania – che confina con Iraq e Siria – una missione molto discreta chiamata “Gallant Phoenix” per trovare ed eliminare i terroristi stranieri dello Stato islamico, soprattutto quelli europei: “quanti più possibile”, prima che tornino ai loro stati di appartenenza. Le ragioni di questa missione sono molto solide, perché gli uomini dello Stato islamico che tornano in Europa possono compiere stragi di civili innocenti come hanno già fatto negli anni scorsi. Che succede però se altri governi nel mondo – specie quelli che etichettano tutti i loro dissidenti come “terroristi” – decidono di applicare gli stessi sforzi e lo stesso schema all’opposizione e di farlo con operazioni sempre più spregiudicate?

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)