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Rex Tillerson agli sgoccioli

Paola Peduzzi

Trump è pronto a cacciare il suo segretario di stato, e a sostituirlo con il direttore della Cia Pompeo

La frattura tra Donald Trump e il suo segretario di stato, Rex Tillerson, pare insanabile e molti media americani sostengono che Tillerson stia per lasciare il suo posto. Il rapporto tra i due “è intossicato” hanno detto alcune fonti dentro la Casa Bianca al solito superinformato Mike Allen. E questo è apparso chiaro quando, mercoledì, Tillerson si è presentato davanti alle telecamere per smentire la crisi con il presidente senza però smentire la parola chiave della crisi, quel “moron”, imbecille, che il segretario di stato avrebbe detto riferendosi al presidente degli Stati Uniti. Va tutto bene tra di noi, il mio posto non è in bilico, Trump è un grande, ma forse l’ho chiamato imbecille: non una premessa di pacificazione. Il chief of staff di Trump, quel John Kelly che è alle prese con un hackeraggio del suo smartphone personale e che ogni sera controlla di persona il perimetro della Casa Bianca, pattugliamento da ex generale, chiede con insistenza di evitare crisi interne: almeno fino all’anno prossimo evitiamo rimpasti spettacolari nel team dell’Amministrazione. Ma Trump è furioso con Tillerson: da quando ha saputo di quel “moron” – è stato un articolo dell’Nbc a rivelarlo – non ha fatto altro che lamentarsi. Mercoledì, reduce dalla visita nella Las Vegas della strage, Trump è diventato intrattabile quando s’è accorto che tutte le televisioni non parlavano che di Tillerson e del “moron”, cioè di lui, invece che della trasferta.

 

Da settimane i media americani sono zeppi di articoli che sottolineano l’assenza di Tillerson dalla scena internazionale, i suoi viaggi dimessi, la poca collaborazione con la Casa Bianca, la sua incapacità – o sarebbe meglio dire impossibilità – di fissare una linea di politica estera per gli Stati Uniti tra un tweet e l’altro di Trump. La gestione dell’accentramento trumpiano è complicata per tutti i collaboratori, e i fuoriusciti ormai sono tanti: Tillerson ha scelto di non scontrarsi direttamente con il presidente ma anche di non esporsi più per difendere le stravaganze di Trump. Per il presidente questo equivale a un tradimento, per il resto del mondo a un pericolo: l’andamento altalenante – eufemismo – dell’Amministrazione americana nei confronti della crisi nordcoreana, dell’accordo sull’Iran, della guerra in Siria, di quella in Libia (su cui Trump tace), dei rapporti con la Russia e di quelli con l’Europa, insieme ad altri dossier rilevanti, è causa di enorme instabilità. Ma per Trump la lealtà è tutto, ed è riuscito ad annichilire anche uno come Tillerson che ha fama consolidata – anni da supermanager alla Exxon, non robetta – di essere un mastino.

 

Ieri si è fatto il nome del direttore della Cia, Mike Pompeo come possibile sostituto di Tillerson, in un continuo rimpasto che non consola da un pensiero inevitabile: che l’unico pezzo dell’Amministrazione davvero disfunzionale è inamovibile. Pompeo è un nemico dichiarato del deal atomico con l’Iran e assumerebbe l’incarico proprio nel momento in cui Trump vuole uscire da quell’accordo. Naturalmente, una cosa è parlare da senatore repubblicano, altra cosa è parlare da segretario di stato. Da direttore della Cia Pompeo ha dimostrato buone capacità politiche per navigare in un’Amministrazione che tende a divorare i suoi uomini in fretta, ora è da vedere se queste indiscrezioni sulla sua prossima nomina sono reali.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi