La Marjory Stoneman Douglas High School di Parkland, Florida (foto LaPresse)

Ma che fa poi un prof. quando si ritrova a scuola armato e addestrato?

Paola Peduzzi

Ci sono le ideologie, c'è il Secondo emendamento, ma dove ci sono meno armi ci sono meno omicidi. Armateci con i libri e le penne, non con le pistole

Milano. Anche se c’è una persona armata, preparata, e pronta a intervenire nei pressi di una scuola, non è detto che si riesca a evitare una strage. A Parkland, in Florida, dove c’è stato l’ultimo massacro di studenti e insegnanti, quella persona c’era, una guardia in uniforme, ma non ha fatto nulla, non è entrata nella scuola: Scot Peterson è stato prima sospeso dalle autorità locali e ieri si è dimesso dal suo incarico. Il massacro dei 17 studenti e insegnanti – quasi tutti uccisi alle spalle: l’Atlantic ha pubblicato il racconto di una dottoressa che si è vista arrivare i corpi in ospedale, i dettagli sono raccapriccianti – è durato sei minuti appena, Peterson non è intervenuto, anche se è un agente di polizia: c’è chi lo accusa, sei un codardo (il presidente degli Stati Uniti è tra questi), c’è chi lo difende, cosa poteva mai fare contro un ragazzo con un’arma d’assalto che spara nel mucchio e in pochi attimi ne ha uccisi così tanti? Ma al di là della vicenda personale di Peterson, la sua presenza e il suo non intervento vanno dritti al cuore del dibattito politico e culturale dell’America, dopo l’ultima strage che non sarà l’ultima, con un movimento di studenti, genitori, professori che chiedono alle istituzioni: “Fix it”.

 

Il presidente Donald Trump è convinto che un personale addestrato e militarmente preparato nelle scuole – gli insegnanti con le armi, detto in modo sintetico – possa costituire un deterrente contro i malati di mente con le carabine: “i codardi” non si presenterebbero più, e il problema sarebbe “risolto”. Le scuole vanno rafforzate non indebolite, alle armi si risponde con le armi, le zone “gun free” sono per gli stragisti “come andarsi a prendere un gelato”, ha detto Trump. Molti insegnanti tirati in causa da questa diatriba non nuova – anzi, il suo ripetersi sempre uguale mostra l’inerzia e l’inefficacia delle istituzioni americane, strage dopo strage – hanno costruito una campagna, con inevitabile hashtag, per ribellarsi: si chiama #ArmMeWith, i professori si fotografano con cartelli in cui dicono “armami con” libri, penne, matite, pennarelli, lavagne luminose, quaderni, biblioteche, assistenti sociali, con gli strumenti che servono per fare bene gli insegnanti, non con pistole e pallottole.

 

Molti professori hanno raccontato che, dalla strage di Columbine nel 1999, sono stati introdotti vari tipi di addestramento per aumentare la sicurezza ormai diventati routine: il 95 per cento delle scuole americane fa esercitazioni con regolarità (come quelle introdotte anche in Italia contro il terrorismo, che sono uguali a quelle previste in caso di incendio, ma “turbano” di più, si dice nei gruppi di whatsapp, forse perché costringono gli adulti a spiegare ai ragazzini che cos’è il terrorismo), il personale scolastico controlla se ci sono armi negli armadietti, se i vari “rifugi” sparsi per le scuole sono liberi e accessibili, e nessuno tiene più la porta aperta quando fa lezione.

 

Il Wall Street Journal ha ricordato che in almeno otto stati americani ci sono già dei provvedimenti che permettono agli insegnanti di portare delle armi, e nel 2018 almeno sei stati – Florida, Alabama, Mississippi, Missouri, Maryland e Oklahoma – hanno introdotto una legislazione che rende più facile avere personale armato nelle scuole: il regolamento prevede che l’insegnante porti la propria arma e che l’istituto scolastico fornisca l’addestramento necessario per utilizzarla. Non si sa quante persone abbiano aderito, non ci sono dati ufficiali, ma secondo molte testimonianze, questi programmi di sicurezza pure se disponibili non sono stati implementati: la responsabilità di portare un’arma a scuola è grande, i tempi delle stragi sono ridottissimi, il rischio di aumentare il numero delle vittime cresce, che cosa avviene poi se alla fine di una strage – dal 2014 a oggi, secondo i dati, c’è una media di cinque sparatorie nelle scuole ogni mese – sbucano fuori in dieci con un’arma in mano? I dettagli sono sempre i più complicati da gestire, quando si esce dalle sessioni di “ascolto” con i foglietti in mano per ricordarsi cosa dire (Trump s’è dovuto scrivere “I hear you”, ti ascolto, per essere sicuro). Ci sono le ideologie, c’è il Secondo emendamento, ci sono le piccole misure di controllo, ma per aggiustare le cose forse serve altro. Le ricerche mostrano che i paesi con meno armi hanno tassi di omicidi più bassi. Anche gli stati americani con meno armi hanno un tasso di omicidi più basso. E’ una banalità, ma sugli appunti delle sessioni d’ascolto non c’è mai scritta.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi