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“Antisemitismo implicito” in Ungheria

Maurizio Stefanini

Un professore ci racconta la discussa campagna anti Soros

Roma. “Sembra di essere tornati agli anni Trenta. Le immagini della campagna del governo ungherese contro George Soros sembrano davvero un ritorno a certi toni di antisemitismo degli anni Trenta”. Nato in Slovacchia, Julius Horvath è un economista che insegna in quella Central European University di cui Soros promosse la fondazione a Budapest nel 1991, e che il governo di Viktor Orbán ha preso duramente di petto – non soltanto con una legge che ne minaccia l’esistenza. Horvath si riferisce al fatto che è stata mandata alle famiglia ungheresi dal governo una lettera con la foto di Soros in cui si denuncia che il miliardario vorrebbe far venire in Ungheria un milione di migranti all’anno, da finanziare con l’equivalente di 30 mila euro di sussidi pubblici a testa. Dall’altra la stessa foto è apparsa in un manifesto con l’esortazione: “Non lasciate a George Soros l’ultima risata”.

 

“Il cosiddetto piano Soros in realtà non esiste”, ricorda Horvath. E aggiunge: “Sebbene la campagna evochi chiaramente i toni della propaganda antisemita degli anni Trenta, non viene mai detto che Soros è ebreo”. Si può anche ricordare che dopo le proteste della comunità ebraica ungherese e anche dell’ambasciata israeliana a Budapest il governo Netanyahu ha ricordato che anch’esso è in rotta con Soros, e il primo ministro israeliano è venuto in visita a Budapest. “Sì. Non si può parlare di antisemitismo puro, nel momento in cui il governo ha buone relazioni con Israele”, riconosce Horvath. “Però allo stesso tempo il governo fa chiaramente appello ai sentimenti antisemiti di una parte della popolazione”. Secondo la sua analisi, “all’inizio Orbán ha acquisito popolarità opponendosi al Fondo Monetario Internazionale, con ricette di economia non ortodossa che effettivamente hanno aiutato l’Ungheria a risollevarsi. Poi ha tuonato contro la corruzione della sinistra. Ma adesso anche il suo partito è coinvolto in vari scandali, e la lotta alla corruzione è diventata la bandiera dello Jobbik. Era un partito di estrema destra,ora si è spostato al centro e sta addirittura trattando con la sinistra. A questo punto per recuperare Orbán sta facendo chiaramente appello a un retroterra psicologico duramente antisemita. Quell’Ungheria profonda delle campagne che vede da sempre con rancore e sospetto la cosmopolita Budapest”.

 

Dunque, “la parola giusta è: ambiguità. Abbracci con Netanyahu assieme a messaggi che sono antisemiti in modo implicito ma non esplicito”. Secondo Horvath, però, un po’ tutta la retorica di Orbán si basa sull’ambiguità. “Attacca l’occidente, però quando nelle interviste gli chiedono se vorrebbe allora uscire dalla Ue o dalla Nato risponde che non se lo sogna minimamente. Dice che la democrazia liberale è una realtà del XIX secolo ormai superata, loda la democrazia non liberale alla Putin o alla Erdoğgan, ma in Ungheria non ci sono prigionieri politici e anche la stampa è libera. Più che altro la presa del regime si percepisce nella occupazione della tv di Stato. E’ anche singolare che con tutta la sua retorica xenofoba poi abbia costruito rapporti straordinariamente buoni con quei paesi vicini rispetto ai quali invece in passato l’ultranazionalismo ungherese si era sempre scontrato. Lui non se la prende con i croati o con gli slovacchi, ma con i democratici statunitensi, che sono lontani e neanche si accorgono di lui”.

 

Come ci racconta Horvath, “la Ceu fu creata per dare formazione in quelle materie dove l’insegnamento dato nel periodo comunista era diventato ormai completamente inadeguato alla nuova realtà. Infatti non insegna Fisica o Medicina ma Scienze Umane e sociali, Diritto, Public Policy, Business Managment, Scienze ambientali. È organizzata come un'istituzione accademica di stile americano, con il riconoscimento del New York State Education Department”. In teoria la legge che il Parlamento ungherese ha approvato non menziona la Ceu. Però stabilisce che le università straniere possono operare in Ungheria solo a condizione di disporre di una sede anche nel paese di provenienza: e la Ceu sarebbe appunto l’unica istituzione a essere colpita”. Come vivono nell’Università questa spada di Damocle? “Bah, noi che siamo cresciuti sotto il comunismo ci abbiamo più o meno fatto il callo a questo tipo di situazioni. Però vedo che i docenti che vengono dall’occidente o comunque da paesi sviluppati sono molto spaventati. Non riescono a capire come si possa essere considerati nemici dello stato da un momento all’altro”.

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