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Cosa cambia nelle menti degli inglesi con l'avvicinarsi della Brexit

Paola Peduzzi

Un sondaggio di YouGov rivela che gli inglesi oggi sembrano più preoccupati di mantenere i liberi scambi che del controllo sull’immigrazione

Roma. E’ ricominciato il via vai di sherpa inglesi a Bruxelles e di sherpa europei a Londra e il negoziato sulla Brexit è di nuovo un misto di confusione, disillusione e rabbia. Anche l’accordo sulla prima fase firmato a dicembre sembra in bilico – la questione nordirlandese preoccupa grandemente Bruxelles, è una faccenda irrisolta, forse irrisolvibile, uno sparo dritto al cuore della Brexit – mentre sulla seconda fase sembra impossibile trovare addirittura un punto di partenza condiviso. Ci siamo già passati, sappiamo che poi qualcosa su cui accordarsi si può trovare, gli europei si rimangiano i loro sorrisetti e gli inglesi le loro “linee rosse”, e si ricomincia. Ma a volte, di trasferta in trasferta, di scontro in scontro, i pezzi del puzzle vanno perduti, e non c’è modo di ritrovarli. Chi ha la pretesa di sostenere che questa che abbiamo sotto agli occhi non è la Brexit, è un negoziato, crea problemi e non ne risolve, non ora almeno, e che poi invece una volta che il divorzio sarà ufficiale si vedranno anche i benefici che ora, nell’incertezza, sfuggono, non capisce che anche l’esperienza della Brexit ha il suo peso: cambia percezioni, e priorità. Pensare che tutto sia come il giorno dopo il referendum, comportarsi come se non fossero passati diciotto mesi da allora – i Tory sembrano uguali a loro stessi, a caccia di un leader nuovo quando ce ne hanno già uno – è uno degli errori più grandi che il governo inglese sta commettendo. I contrari alla Brexit ne approfittano, si organizzano, lanciano movimenti dal basso per far emergere tutto il discontento degli inglesi, fanno battaglia in Parlamento per ottenere un nuovo voto sul negoziato, arrivano a Bruxelles carichi di speranze: Nick Clegg, ex leader dei liberaldemocratici (un partito che sta svanendo, anche questo è un segnale), è andato a “incoraggiare” i suoi interlocutori europei a dare più tempo agli inglesi nel momento in cui i parlamentari dovessero rigettare l’accordo negoziato dal governo. La strada per la riunificazione parte da qui, ma è complicata, e il rischio di ripetere ancora gli stessi errori della prima volta, del primo referendum, è alto. Perché l’esperienza della Brexit cambia molte cose.

 

Ieri il responsabile della newsletter londinese di Politico Europe, Jack Blanchard, ha raccontato di aver consultato in anteprima un sondaggio di YouGov che dimostra che gli inglesi oggi sembrano più preoccupati di mantenere i liberi scambi che del controllo sull’immigrazione. Le priorità si sono ribaltate rispetto al giugno del 2016. La ricerca è stata commissionata da Best for Britain, uno gruppo proeuropeista, e sono stati consultati 1.669 elettori inglesi: il 49 per cento di loro crede che sia “più importante far sì che il Regno Unito possa commerciare liberamente con l’Unione europea senza barriere né tariffe che controllare l’immigrazione”. Soltanto il 37 per cento ha detto il contrario, più controllo sull’immigrazione meno scambi commerciali, mentre il 14 per cento è incerto. Questo non significa però che il Regno Unito debba ripensarci e annullare il divorzio: il 41 per cento degli intervistati pensa che si debba andare avanti con la Brexit nel marzo del prossimo anno anche se non dovesse esserci un accordo – lo scenario-catastrofe del “no deal” – contro il 38 per cento che sostiene che sia necessario rimanere nell’Ue nel caso non si riesca a trovare un accordo dopo il negoziato con Bruxelles (il 21 per cento non sa cosa dire). Una maggioranza risicata, ma maggioranza, il 43 per cento degli intervistati rispetto al 41 per cento, dice che nel frattempo il governo deve andare avanti con la sua strategia per la Brexit, senza inseguire una Brexit “soft” di cui non si capiscono i dettagli e senza indire un secondo referendum. L’“attuale strategia” è di difficile definizione, ma sembra comunque migliore rispetto alle alternative. Ma il controllo dell’immigrazione è meno importante, meglio poter accedere al mercato europeo senza troppi vincoli. Questa è la foto di un sondaggio: cambiano le menti, mentre si fa esperienza della Brexit, i cuori ancora no.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi