Soldati israeliani al confine siriano a sud del Golan durante un'operazione di ricerca, 25 ottobre 2015 (LaPresse)

La doppia guerra silenziosa di Israele

Daniele Raineri

Più di 100 attacchi in Siria, più di 100 attacchi nel Sinai

Roma. Scrive l’ex corrispondente del New York Times al Cairo, David Kirkpatrick, che droni, elicotteri da guerra e jet di Israele hanno colpito per più di cento volte le posizioni dello Stato islamico nel Sinai, per aiutare l’Egitto nella guerra al gruppo terroristico, a partire dal 2015 – grazie a un accordo segreto con il presidente Abdel Fattah al Sisi. I guerriglieri islamisti infestano la penisola desertica del Sinai, posta tra il resto dell’Egitto e il confine sud di Israele, dove in virtù di accordi di pace risalenti agli anni Settanta entrambi gli stati non dovrebbero fare manovre militari. Invece entrambi violano quelle vecchie misure di sicurezza e danno la caccia agli uomini del cosiddetto Wilayat Sinai (si pronuncia Sainà in arabo), la divisione locale dello Stato islamico nata nel novembre 2014.

     

Israele non riconosce dal punto di vista ufficiale queste operazioni militari, come fa anche con i bombardamenti contro le posizioni del gruppo Hezbollah in Siria, ma secondo le fonti sentite dal New York Times ha colpito “più di cento” volte. Che Israele desse la caccia agli uomini dello Stato islamico nel Sinai non era più un segreto per nessuno da tempo, ma colpisce questo numero dato per la prima volta, “più di cento”, perché è lo stesso numero fornito da un generale israeliano pochi mesi fa quando ha descritto anche in quel caso per la prima volta i bombardamenti però in Siria, cominciati nel gennaio 2013.

     

Questo vuol dire che da anni l’aviazione israeliana colpisce in media ogni dieci giorni sul versante egiziano contro lo Stato islamico e ogni diciotto giorni sul versante siriano per mitigare la minaccia dell’Iran e dei suoi alleati. E’ una doppia campagna di guerra che va avanti senza troppo rumore ma rende l’idea di pericoli permanenti, di una situazione minacciosa, che se non fosse tenuta sotto controllo diventerebbe pure peggiore e finirebbe per assomigliare a uno stato d’assedio.

    

L’esercito egiziano ha subito negato la cooperazione, perché i governi arabi sono spesso in grave imbarazzo a spiegare che fanno accordi con il governo di Gerusalemme dopo decenni spesi in durissima propaganda anti israeliana. Del resto l’Egitto vive in questa stagione una difficoltà particolare a essere rappresentato come vorrebbe, vedi per esempio il caso delle elezioni, dove il presidente al Sisi stenta a trovare uno sfidante credibile, oppure il caso dell’omicidio del ricercatore italiano Giulio Regeni, rimasto impunito. Ma questa intesa militare nel Sinai fa parte di un cambiamento generale che riguarda tutta la regione, ci sono stati segnali di disgelo importanti tra Israele e l’Arabia Saudita per esempio.

    

E’ probabile che i droni israeliani colpissero nel Sinai anche prima dell’accordo del 2015, soprattutto dopo l’attacco islamista che nell’agosto 2012 uccise otto soldati israeliani su un bus vicino al confine, ma secondo la solita procedura non ci sono informazioni ufficiali.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)