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Il populismo dei performer si combatte con uno show di coalizioni e valori

Micol Flammini

L'analisi e il consiglio dello storico francese Pascal Ory, autore del libro “Peuple souverain”

Roma. Tutto ha avuto inizio con la modernità. Prima non c’era il popolo: non poteva esistere nemmeno il populismo. Nel libro uscito lo scorso dicembre in Francia, “Peuple souverain”, lo storico Pascal Ory definisce il populismo una forza polimorfa che può travestirsi da dittatura, come da democrazia. Lo scrittore, docente nelle due più prestigiose università di Parigi, la Sorbona e Science Po, spiega al Foglio: “Il rifiuto del compromesso come dell’autorità parlamentare, la stigmatizzazione incendiaria delle élite sono tutte caratteristiche tipiche dei populismi di ogni èra e nazione”, che agiscono sempre in difesa della più “grande invenzione della modernità”: il popolo. “Nel suo nome è tutto possibile”, commenta Ory.

  

Settant’anni, sempre zaino in spalla e giacca di pelle, lo storico è stato allievo di René Rémond e collaboratore di Emile Bassini, l’eminenza grigia della cultura francese ai tempi di Mitterrand. “Da quando è stata distrutta la legittimità di Dio in terra, la politica ha cominciato ad agire nel nome delle masse”, spiega Ory. “Ci sono mille modi di fare ricorso al popolo, i moderati lo invocano nel nome della democrazia liberale, gli estremisti per distruggere il regime borghese”, ma il populismo ha un’energia particolare. “E’ un’ideologia di sintesi che permette all’estrema destra di sedurre le classi popolari adottando uno stile di sinistra”. Le parole nazione, popolo e rivoluzione appartengono a un vocabolario di sinistra. Ordine e culto della personalità a un frasario di destra. “Peuple souverain” non offre solo la rilettura dei movimenti che hanno stravolto il passato. Ory compara Lenin a Trump, Mélenchon a Mussolini: “Il populismo si sta rafforzando, nei paesi dell’est è ormai l’ideologia dominante”, dice insistendo sul fatto che, nella storia, i dittatori sono sempre riusciti a imporsi grazie alla pericolosa alchimia tra istanze di destra e di sinistra. “Benito Mussolini, ad esempio, senza considerare il suo passato socialista, dalla sua retorica ha eliminato la parola proletariato sostituendola con popolo, più inclusiva, ma nello stesso tempo nei suoi discorsi parlava di nazioni borghesi”. La forza dei populismi è anche nella dirompente teatralità. “Un tempo c’erano i comizi, poi la televisione e ora i social. La tecnologia culturale è cambiata ma resta il fatto che i leader di questi movimenti sono dei grandi comunicatori”.

 

Ed è proprio in Italia che, secondo Ory abbiamo uno dei massimi esempi di messinscena populista. “Beppe Grillo è l’incarnazione della teatralità, una cosa che gli riesce naturale anche per mestiere, e l’ha usata per unire e attrarre le persone. I populisti non scendono in piazza per manifestare, la invadono come fosse un’arena, un teatro e le loro proteste sono di tipo performativo. Il M5S ha avuto un regista straordinario, un performer professionista”. La storia prosegue in maniera ciclica e là dove non sono state la guerre a sovvertire il populismo è stato il progresso. “Ha ucciso la sinistra radicale e per questo, anche oggi, i partiti che vogliono sconfiggere la minaccia populista devono mostrarsi come i fautori del progresso di una nazione”, eppure, nell’est europeo è accaduto il contrario, i populismi sono diventati l’ideologia dominante proprio mentre Polonia, Ungheria, Repubblica ceca e Slovacchia erano al culmine del loro sviluppo. “Nei paesi di Visegrad si aggiunge un discorso ulteriore che è quello identitario. Inoltre, il populismo nasce dove hanno fallito le sinistre, gruppo politico che a est ancora fa fatica ad affermarsi”.

 

In tutta Europa, avverte Pascal Ory, i populismi non sono ancora stati sconfitti, ma è stato scoperto un modo per arginarli: “Una convergenza tra le due grandi famiglie politiche di centro”. Se il populismo è la sintesi approssimativa delle peggiori istanze di destra e sinistra, solo una coalizione che coniughi il meglio dei due schieramenti, liberali e socialdemocratici, può sconfiggerlo. “Così è successo in Germania, ma questa è una risposta teorica che non tiene conto del fascino che il populismo esercita sulla società, quindi, per convincere gli elettori che il centrismo è la miglior risposta per questo periodo storico, i partiti devono collaborare”, lavorare per il progresso e non rincorrere la teatralità populista. “Poi c’è un paese bizzarro – conclude con orgoglio Pascal Ory – la Francia. Emmanuel Macron è riuscito da solo a battere il Front national, è stato un evento in controtendenza, atipico e così ha portato in Parlamento un cambiamento radicale che non si vedeva dal 1958 e lo ha fatto senza nulla togliere ai valori tradizionali del paese”. Tradizione e cambiamento. Coalizione e progresso. Sono queste le armi che lo storico suggerisce di usare anche in Italia, in vista del 4 marzo.