Perché la repressione in Iran ci riguarda

Giulio Meotti

Ha velato la donna, ispirato la strage di Charlie Hebdo, introdotto la forca per i "peccatori", colpito gli ebrei, sdoganato il negazionismo della Shoah, fomentato gli islamisti e l'"urto di civiltà" con l'occidente

Tra i testi recuperati sul portatile dei fratelli Kouachi, gli autori della strage alla redazione di Charlie Hebdo, ce n’era uno che elogiava la fatwa iraniana contro il romanziere Salman Rushdie, definendola “pienamente giustificata”. Attaccava anche Michel Houellebecq, lo scrittore francese di “Sottomissione”, scagliandosi contro “gli scarabocchi disonesti” dei giornalisti che hanno trasformato le “bestemmie” in una forma di “intrattenimento sadico”. Mentre dall’Iran arrivano le immagini della repressione del regime, in Francia Charlie Hebdo traccia un bilancio di questi tre anni trascorsi da quella strage senza precedenti nel cuore dell’Europa.

 

"Una copia su due di Charlie serve oggi per finanziare i costi della sicurezza del giornale. Spendiamo un milione all'anno"

Scorta permanente della polizia, minacce sui social network, costi esorbitanti per assicurare la vita del giornale… In un numero uscito mercoledì, il settimanale satirico racconta il trauma che continua a cambiare profondamente la sua vita, da quando Said e Sharif Kouachi hanno giustiziato undici persone negli uffici parigini del settimanale. Tra le vittime, figure emblematiche del giornale come Cabu, Wolinksi, Honoré, Tignous, l’ex direttore Charb e l’economista Bernard Maris. In una vignetta in edicola questa settimana e firmata dal direttore “Riss”, si mostra la porta di un bunker su cui è scritto “Charlie Hebdo”. In discussione, i costi relativi alla sicurezza: “Ogni settimana, almeno 15 mila copie, quasi 800 mila all’anno, devono essere vendute solo per pagare la messa in sicurezza dei locali”, scrive Riss in un editoriale. Il giornale deve pagare “tra il milione e il milione e mezzo di euro all’anno” per garantire la propria protezione. Il costo è tanto più rilevante in quanto il fatturato di Charlie Hebdo è sceso a 19,4 milioni di euro nel 2016, dopo un record nel 2015 di oltre 60 milioni di euro. “E’ normale per un giornale di un paese democratico che più di una copia su due in edicola finanzi la sicurezza della gente del posto e dei giornalisti che ci lavorano? Quali altri media in Francia devono investire così tanti soldi per consentire di utilizzare questa libertà fondamentale che è la libertà di espressione? Questa libertà, vitale e inseparabile dalla nostra democrazia, sta diventando un prodotto di lusso, così come lo sono le auto sportive o i diamante di Place Vendôme”. In un altro articolo, Fabrice Nicolino, giornalista di Charlie Hebdo scampato alla strage, racconta di “un nuovo mondo fatto di polizia armata, camere e porte blindate, morte. E questo in piena Parigi”.

 

La fatwa contro Rushdie ha avuto conseguenze in tutto il medio oriente. Decine gli scrittori e intellettuali laici assassinati

L’assedio permanente a Charlie Hebdo è uno dei frutti avvelenati che ha regalato all’occidente la Repubblica islamica dell’Iran. E’ stata Teheran a spostare tutte le linee di faglia dell’attuale scontro fra occidente e islam. Mai prima di Salman Rushdie uno scrittore o giornalista era stato costretto a vivere nell’ombra a causa delle sue critiche all’islam. Nell’aprile del 1989 due grandi librerie londinesi, Dillons e Collets, furono colpite da ordigni esplosivi. Il mese successivo ci furono altre esplosioni a Londra, York e High Wycombe, mentre bombe inesplose furono scoperte in altre librerie. Hitoshi Igarashi, il traduttore giapponese dei “Versetti satanici”, fu pugnalato a morte nel luglio 1991; Ettore Capriolo, che lo tradusse in italiano, fu pugnalato (ma sopravvisse) nell’agosto dello stesso anno; William Nygaard, l’editore norvegese del libro, sfuggì all’assassinio nell’ottobre del 1993.

 

Khomeini impose il velo come "simbolo della rivoluzione". E le ambasciate iraniane, come ad Algeri, iniziarono a distribuirlo

Da allora, l’Iran ha trasformato la libertà di espressione in un “lusso”, come ora dice Charlie Hebdo. Sooreh Hera è un’artista iraniana che aveva presentato al Gemeente Museum dell’Aia una serie di opere fotografiche che ritraevano coppie omosessuali. Il quotidiano iraniano Keyhan pubblicò un editoriale di Hossein Shariatmadari, un capo dei pasdaran iraniani, che diceva che Sooreh Hera doveva essere uccisa. La mostra rimase senza le opere di Hera. E l’elenco di “successi” iraniani non si ferma qui. Rushdie è costretto a vivere sotto scorta da trent’anni.

 

Ma non è solo in occidente che l’Iran ha esteso la sua ombra maligna. Rahim Safavi, capo dei pasdaran integralisti, lo aveva promesso: “Dovremo tagliare la gola a qualcuno e la lingua a qualche altro”, e fu di parola. Ottanta fra scrittori, poeti, traduttori e attivisti furono uccisi a partire dal 1989, poco dopo la fatwa Rushdie. Oggi l’intellighenzia iraniana è tutta in carcere o in esilio. Andarono fino a Bonn per prendere il cantante Fereydoun Farrokhzad, cui tagliarono la testa e la lingua. Lo scrittore Mohammed Puyandeh e il poeta Mohammed Mokhtari vennero strangolati, mentre a Rahman Hatefi, romanziere e giornalista, tagliarono le vene in carcere e lo lasciarono morire dissanguato.

 

Prima dell’Iran, nessuno scrittore arabo era stato ucciso. Da allora, è stato un eccidio. E’ successo al grande scrittore algerino, Tahar Djaout, assassinato nel 1993 dagli islamisti di Algeri. All’intellettuale egiziano Farag Foda, famoso per le satire sul fondamentalismo islamico. A una trentina di scrittori laici in Turchia, riunitisi per una conferenza a Sivas, che persero la vita in un incendio appiccato da fondamentalisti islamici che li accusavano di essere “atei” e quindi, secondo la logica dei fanatici, meritevoli di bruciare vivi. Quale editore occidentale oggi pubblicherebbe un libro critico dell’islam? Quale giornale occidentale incaricherebbe un vignettista di fare satira su Maometto? E’ la grande paura che fa parte del grande “bottino” iraniano.

 

   

La rivoluzione di Khomeini, vittoriosa contro lo scià “americano”, ha dato il colpo finale al modernismo islamico catalizzando il purismo musulmano. Nei giorni scorsi, le ragazze iraniane che si sono tolte il velo in piazza sono finite nelle galere del regime, arrestate e picchiate. E’ stato l’Iran a fare dell’hijab un sigillo dell’islam politico da esportare in tutto il mondo. La donna avvolta in un chador nero, la forma più severa dell’hijab, è diventata l’immagine iconica della Repubblica islamica per il mondo esterno. Khomeini era un fiero teorico dell’hijab. Un simbolo della rivoluzione” disse l’ayatollah.

 

Nel 1994 l'Iran decise di colpire le comunità ebraiche nel mondo e di introdurre i kamikaze contro Israele (primi attentati suicidi)

All’epoca, il mondo islamico era senza veli. Le donne non si coprivano in Afghanistan, in Turchia, nel Maghreb. Khomeini cambia tutto. Basta pensare all’Algeria. Minigonne, pantaloni a zampa d’elefante e capelli corti erano di casa nelle strade d’Algeria. Le cose cambiano con la rivoluzione iraniana. L’hijab venne distribuito dall’ambasciata iraniana ad Algeri e nelle moschee. E cosa aveva fatto in Tunisia il governo laico di Bourguiba per essere scomunicato dagli integralisti iraniani? Aveva emesso una circolare che vietava nelle scuole e negli uffici pubblici l’uso dell’hijab. Una decisione, disse Khomeini, che poneva il governo tunisino sullo stesso piano del deposto Scià. In questi anni l’Iran è riuscito a imporre l’hijab anche a una serie di leader e ministri europei in visita nel paese, umiliandole, ponendole in uno stato di sudditanza culturale e psicologica.

 

Sono stati gli ayatollah iraniani i primi a perseguitare le popolazioni cristiane in medio oriente. Nel 1979 l’ayatollah Khomeini ordinò la chiusura immediata delle scuole cattoliche e concesse a tutti i sacerdoti, religiosi e religiose cattolici stranieri, un mese di tempo per lasciare il paese. Oggi l’Iran è al nono posto nella lista nera di Open Doors dei paesi dove i cristiani stanno peggio al mondo, subito dopo Siria e Iraq.

 

Dai Fratelli musulmani ai tagliagole algerini, gli islamisti hanno tratto ispirazione dalla rivoluzione khomeinista

E’ iraniana l’idea di colpire ferocemente le comunità ebraiche nel mondo. Prima della strage al museo di Bruxelles, prima del massacro alla scuola ebraica di Tolosa, prima dell’eccidio all’Hyper Cacher di Parigi. Alle 9.58 del 18 luglio 1994 un camioncino carico d’esplosivo distrugge l’Asociación Mutual israelita argentina, il centro ebraico di Buenos Aires, uccidendo 85 persone. L’attentatore è Ibrahim Hussein Berro degli Hezbollah filoiraniani.

 

Dell’edificio a fianco, di nove piani, rimase in piedi solo lo scheletro di cemento armato: l’esplosione frantumò i vetri delle case nel raggio di dieci isolati. La regia dell’attentato era a Teheran. Gli indiziati principali, i servizi iraniani e l’organizzazione Hezbollah guidata da Imad Mugniyeh, che avrebbe usato Ciudad Juarez come base, mescolandosi alla comunità sciita. Due anni prima del bombardamento all’Amia, il Jihad islamico aveva rivendicato il bombardamento dell’ambasciata israeliana a Buenos Aires, che aveva ucciso 29 persone. Nel mondo dell’intelligence non c’è dubbio che l’Iran sia dietro a entrambi gli attacchi.

 

 

Nel 2006 l’Argentina accusò ufficialmente Hezbollah di aver realizzato gli attentati, e un anno dopo pubblicò un elenco di sei iraniani ricercati in connessione con gli attacchi – tra cui l’ex capo delle Guardie iraniane della Rivoluzione, Ahmad Vahidi, che diverrà ministro della Difesa di Mahmoud Ahmadinejad, e lo stesso Rabbani, considerato la mente dell’attacco. Il 18 gennaio 2015 viene ritrovato privo di vita il magistrato Alberto Nisman che chiedeva l’arresto della presidente argentina Cristina Fernández. L’aveva accusata di coprire il coinvolgimento dell’Iran nell’attentato contro il centro ebraico. Nei giorni scorsi i magistrati hanno stabilito che non si è trattato di suicidio. Ma di una esecuzione in pieno stile.

 

Dai gay alle adultere, gli ayatollah hanno reintrodotto per legge la pena di morte per i reati sessuali. In Iran non accadeva da un secolo

Dopo l’Olocausto, mai prima dell’Iran la leadership di un paese così esteso e importante aveva asserito la negazione dell’Olocausto. E’ sempre l’Iran ad aver esportato in Israele le bombe umane. La prima notizia ufficiale che l’Iran aveva esteso la sua influenza a Gaza e alla Cisgiordania arrivò nel 1994, con l’ammissione del leader del Jihad islamico palestinese, Fathi al Shikaki. Shikaki disse che l’Iran aveva stanziato tre milioni di dollari per sostenere le famiglie dei “martiri palestinesi”.

 

Da allora, l’influenza di Teheran ai confini israeliani si è estesa a dismisura. Hamas e Jihad Islamico nel 1994 aprono uffici a Teheran. Poco dopo esordiscono le bombe umane nelle strade israeliane. E’ la prima volta che i sunniti, tramite l’Iran sciita, adottano l’attentato suicida. Nei giorni scorsi, missili iraniani della Jihad Islamica sono caduti sulle città del sud di Israele.

 

Saranno gli Hezbollah filoiraniani, nel 1983, a introdurre la bomba umana in medio oriente, lanciando kamikaze contro obiettivi americani e israeliani. Nel mirino dei kamikaze di Hezbollah era finito in primo luogo il contingente americano, poi quello francese, inaugurando un nuovo stile di guerriglia in tutto il medio oriente, basato su attentati di “martiri” suicidi. L’attentato contro il quartier generale degli Stati Uniti a Beirut del 18 aprile 1983 fece 69 morti, mentre gli assalti alle caserme americana e francese del 23 ottobre successivo lasciarono sul terreno 297 vittime, di cui 241 marine e 56 militari francesi.

 

Lo stesso arcipelago dell’islam politico in Europa, da Tariq Ramadan (che lavora per la tv iraniana) ai Fratelli musulmani, ruota nell’orbita dell’asse Qatar-Iran. E’ stato Khomeini a scatenare le masse musulmane ed eccitare gli islamisti.

 

Nel 1979, il pubblico egiziano fu affascinato da ciò che stava accadendo in Iran. Le immagini di Khomeini erano ovunque ben visibili. I Fratelli musulmani egiziani si schierarono apertamente con i rivoluzionari di Khomeini mentre rovesciavano lo Scià. Durante gli anni Novanta, l’Iran si alleò con Hassan al Turabi, il leader dei Fratelli Musulmani che contribuì a orchestrare un colpo di stato islamista in Sudan. Turabi, a sua volta, fu uno dei principali benefattori di Osama bin Laden dal 1991 al 1996. In “The Looming Tower”, Lawrence Wright spiega che Ayman al Zawahiri, oggi leader di al Qaida, pianificò un colpo di stato in Egitto nel 1990. “Zawahiri aveva studiato il rovesciamento dello Scià dell’Iran del 1979”, spiega Wright, “e cercò addestramento dagli iraniani”.

 

La storia del rapporto tra i Fratelli musulmani e l’Iran iniziò presto, quando un giovane pensatore iraniano, Nawab Safawi fondò quella che è conosciuta in Iran come la “Società dei Devoti dell’islam”, un’organizzazione iraniana che imitava organizzazioni sunnite antecedenti. Safawi venne invitato dai Fratelli musulmani a visitare l’Egitto e la Giordania e a incontrare personaggi di spicco del movimento islamico in quei paesi. Il rapporto tra Safawi e i Fratelli musulmani raggiunse il culmine quando questi ultimi appoggiarono Safawi nella lotta contro lo Scià.

 

Nel 1990, sulle rive del Mediterraneo, nella socialista Algeria si stava per imporre una teocrazia di marca iraniana con il Fis. La vittoria degli “ayatollah algerini” fu sventata soltanto al prezzo di una mostruosa guerra civile. I dissidenti erano soprannominati “Rushdie algerini”. Lounès Matoub, star di quello straordinario genere di rock maghrebino che si chiama rai, fu sequestrato nel villaggio di Tizi Ouzou da un commando di integralisti dei Gruppi islamici armati. Negli stessi giorni a Orano un altro divo del rai, Cheb Hasmi, veniva cancellato sulla soglia di casa. “Sei un ‘taghout’, un miscredente: anziché pregare fai musica”, gli dicevano i carcerieri. “Devi morire”. Venne poi fuori che l’Iran aveva finanziato le attività del Fis con ben cinque miliardi di dollari e che gli iraniani addestravano all’uso delle armi estremisti algerini, per il tramite dell’organizzazione libanese Hezbollah.

 

Nel 1979, l’avvento di Khomeini ispirò un’altra grande trasformazione di cui ancora paghiamo le conseguenze: dopo aver deposto il primo ministro Ali Bhutto con un colpo di stato, Muhammad Zia-ul-Haq impose la sharia in Pakistan, decretando un’ampia serie di misure per islamizzare lo stato e la società. Lo chiamò “Nizam-e Mustafa”, il “sistema del Prescelto” (Maometto).

 

È di Khomeini l’idea di usare i bambini come kamikaze. Da allora è diventata una pratica impiegata da numerosi gruppi terroristici

L’Iran ha inaugurato pratiche di morte oggi comuni in tutto il mondo. Nei primi anni della Rivoluzione, il puritanesimo morale divenne un flagello che investì la nazione. Migliaia di prostitute, tossicodipendenti e omosessuali furono giustiziati. Nei luoghi pubblici, i rivoluzionari attaccavano le persone che non rispettavano i severi nuovi codici di abbigliamento e comportamento. Le pene detentive e la frusta divennero un luogo comune per il più piccolo “crimine” morale pubblico e gli uffici furono epurati dal punto di vista ideologico.

 

Allora non c’erano i Talebani, l’Isis o i Boko Haram. Nessuno prima di Khomeini aveva osato tanto. Khomeini per la prima volta in cento anni ha riportato la pena di morte per una “adultera” a Shiraz. Un rapporto del 1987 della Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite ha stimato che ben settemila persone sono state fucilate, impiccate o lapidate dopo la rivoluzione del 1979. Da quella rivoluzione, l’idea di inserire la sharia nelle leggi nazionali è divampata in tutto il mondo islamico e altri paesi avrebbero ripreso a lapidare i “peccatori”.

 

Tutto è cambiato nel 1989: il velo in Francia, la condanna a morte di Rushdie e l'avvento del Gia algerino

E’ iraniana l’idea di usare i bambini come bombe umane. Durante la guerra fra Iran e Iraq, l’ayatollah Khomeini importò 500 mila chiavette di plastica da Taiwan. Khomeini inviò al fronte i bambini iraniani. Marciavano attraverso i campi in direzione del nemico, aprendo un varco con i loro corpi. Prima di ogni missione, a ciascun bambino era consegnata una chiavetta taiwanese da appendere al collo: sarebbe servita a spalancargli le porte del paradiso. Fu l’Imam Khomeini a spedire al fronte legioni di ragazzini, a esercitare un ossessivo plagio sulle giovani leve, in tutto il paese.

 

Khomeini predicò il sacrificio purificatore della morte che aveva la sua sublimazione nell’accesso al paradiso. Non passava giorno senza che i giornali e la radio, la tv non dessero ampio spazio alle lettere che i ragazzini inviavano dal fronte ai propri cari, agli amici. Sotto la tuta indossavano t-shirts con la scritta: “Ho il permesso speciale dell’Imam per entrare in paradiso”. Da allora, i baby kamikaze avrebbero fatto la loro apparizione a Gaza, in Iraq, in Siria, in Nigeria, in Iraq, in Afghanistan. L’Iran è oggi anche il principale carnefice dei minorenni, come ha riferito un anno fa Amnesty International. Almeno 73 minori messi a morte in Iran dal 2005 al 2015. “L’Iran è certamente il leader mondiale nell’esecuzione di minorenni”, ha detto Michael G. Bochenek, consulente senior della divisione diritti dei bambini di Human Rights Watch. Le autorità iraniane hanno giustiziato 694 persone nei primi sette mesi del 2015, l’equivalente di più di tre persone al giorno.

 

Tutto è cambiato in quel 1989. La fatwa Rushdie. Il caso del velo delle ragazze di origine algerina nelle scuole francesi di Creteil, con le iraniane esuli a Parigi a guidare la battaglia contro il velo che avevano visto imporre dai mullah a Teheran. La nascita del Fronte islamico di salvezza in Algeria, un Isis ante litteram. I frutti della funerea rivoluzione di Khomeini, che ha lanciato l’“urto di civiltà” dentro all’occidente e al mondo islamico. Sono i demoni di una rivoluzione messianica, da fine dei tempi, propulsiva, espansiva teocratica e plebiscitaria.

 

Per questo le immagini che arrivano da Teheran in questi giorni ci parlano non soltanto dei repressi nelle strade iraniane, ma anche della grande repressione che l’Iran khomeinista ha dichiarato all’occidente.

Di più su questi argomenti:
  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.