L'assenza inglese, nella storia, è stata un disastro. Parla Niall Ferguson

Paola Peduzzi

Lo storico inglese, il suo ultimo libro e la Brexit

Anticipiamo un’intervista a Niall Ferguson, storico britannico, che sarà pubblicata sul secondo numero de Il Club, rivista trimestrale in inglese e italiano diretta da Francesco De Leo e affezionata al suo slogan “Affinché Brexit non ci separi”, che sarà presentato il 18 gennaio.  


  

La Brexit “è come un divorzio, soltanto che ci sono ventisette ex mogli, e questo rende il divorzio ventisette volte più complicato”, dice al Club Niall Ferguson, sintetizzando con una formula precisissima quel che sta accadendo: “Un conto è stato il referendum, con la grande mobilitazione per il ‘leave’, un altro conto è ora mettere in pratica quella decisione”. Ferguson è uno storico scozzese che da molti anni fa discutere – e divertire – il mondo accademico e mediatico di tutto il mondo: si è occupato dell’impero britannico, della civilizzazione dell’occidente e della sua superiorità, del denaro e di come ha plasmato la storia del mondo e nel frattempo ha ingaggiato discussioni toste e aspre con i suoi avversari politici, in particolare con i liberal, di cui critica tic e pregiudizi. Ora che insegna a Stanford, a contatto con la Silicon Valley, con le sue eccellenze e le sue falle, Ferguson si è messo a studiare l’interazione tra i network e le gerarchie, e da questa analisi è nato il suo ultimo libro, che sarà pubblicato in Italia da Mondadori a febbraio, “The Square and the Tower”: “L’ispirazione nasce da una cittadina italiana – dice Ferguson – da Siena, che spiega meravigliosamente il contrasto tra una piazza, dove la gente s’incontra, fa commerci, trova risorse, interagisce in modo informale, e una torre, la Torre del Mangia, che rappresenta la struttura istituzionale, il governo, le gerarchie”. La storia riscritta con gli occhi della piazza, dei network, ha causato non poche controversie, ma “quel che è accaduto nel 2016, la Brexit nel Regno Unito e l’elezione di Donald Trump in America, ha a che fare con la predominanza dei network sulle gerarchie, sull’establishment: è un fenomeno che dobbiamo imparare a conoscere, e ancora non lo facciamo appieno”, dice Ferguson. Il divorzio è stato deciso così, con una grande mobilitazione popolare, con lo slancio della piazza, ma ora è la torre, la gerarchia, che deve renderlo pratico, e non è facile. “I negoziati per il divorzio si stanno rivelando estremamente complessi ed è possibile che, per il 2019, non si riesca a trovare alcun accordo, il che porterebbe a ogni genere di problema economico e politico per il Regno Unito”.

   

Ferguson cerca di leggere questo momento di rottura con le lenti della storia, perché è vero che un momento così non c’è mai stato prima, ma è anche vero che i rapporti tra il Regno Unito e il continente europeo non possono ridursi soltanto agli anni comunitari insieme: sono molto più lunghi, molto più complessi, molto più profondi, e questa profondità ora potrebbe risultare utile per mantenere attivo, e percorribile, il ponte culturale che c’è tra il nostro mondo e quello britannico. “L’articolo 50 è stato creato apposta – dice Ferguson – per rendere difficile a qualunque paese membro l’uscita dall’Unione europea. Non credo che gli europei, né Michel Barnier, il caponegoziatore, siano da criticare perché negoziano in modo molto duro: sono incoraggiati dagli altri paesi europei, ed era abbastanza prevedibile che, nel momento in cui l’articolo 50 è stato attivato, le cose sarebbero state difficili per il Regno Unito: perché alla fine la posta in gioco è più alta per il Regno Unito che per l’Ue, il costo della Brexit è più alto per il Regno Unito che per il resto dell’Ue”. E’ un divorzio in cui una parte è in una posizione molto più debole dell’altra, “l’Unione europea vuole parlare prima dei soldi e poi di tutto il resto, che è come se una parte chiedesse di accordarsi prima sui soldi e poi sulla custodia dei figli”, dice Ferguson, per sottolineare la disparità di potere contrattuale tra le due parti. La metafora del divorzio per Ferguson non è casuale, è un tema che conosce bene, “uno dei più grandi traumi della mia vita”, ha detto in un’intervista raccontando il ménage con la sua nuova compagna di vita, Ayan Hirshi Ali, scrittrice, attivista per i diritti delle donne nel mondo musulmano, sotto scorta perché compariva nella lista degli infedeli da eliminare di al Qaida: aggiungeva una morale importante, che vale per tutte le coppie, anche per le alleanze geopolitiche: “Alla fine realizzi che molti dei tuoi problemi non avevano a che fare con il tuo matrimonio”. Chissà se questa considerazione si applica anche alla Brexit, forse è ancora un po’ troppo presto per dirlo, questa è la fase del trauma. “Per quanto le separazioni siano lunghe e costose, ci sono opportunità in ogni divorzio – dice oggi Ferguson – per il Regno Unito di fissare le proprie priorità, per il resto dell’Europa di andare verso una struttura federale più integrata. Il Regno Unito è sempre stato contrario a ogni movimento verso una struttura più federale e più integrata, ed è quindi possibile che la Brexit renda l’Europa più forte. Ma c’è un problema – aggiunge Ferguson – La Storia non ci porta un buon riscontro dell’isolazionismo britannico, dell’assenza britannica nelle politiche europee. In passato, nel Settecento ma anche nel Novecento, ogni volta che il Regno Unito ha deciso di abbandonare la politica europea è poi dovuto tornare, per rimettere ordine in caos davvero grandi. Naturalmente il caso più grave è accaduto nel 1939-1940. La storia non è affatto incoraggiante su quel che l’Europa fa quando il Regno Unito non è coinvolto”. Forse questa volta sarà diversa, “forse l’assenza britannica questa volta avrà un significato differente, forse Francia, Germania e Italia questa volta si accorderanno su un modo unitario di progredire – dice Ferguson – ma non ci scommetterei la vita. E’ una verità triste ma è un verità il fatto che l’unione monetaria è stata costruita in Europa senza il Regno Unito, e l’unione monetaria è stata abbastanza un disastro”. L’unico esperimento recente di assenza britannica, conclude Ferguson, “è andato malissimo” e forse la storia non spiega tutto, forse questa volta, questa Brexit, è davvero unica, ma un divorzio aspro finirà per non salvare nessuno, né il Regno Unito né le ventisette ex mogli.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi