Una manifestazione delle Femen a Berlino (foto LaPresse)

Nessuna dopo Merkel

Daniel Mosseri

Nonostante la permanenza di una leader donna, il movimento #MeToo non sfonda in Germania

Berlino. Una cancelliera non fa primavera. Neppure quando guida il paese per dodici anni di fila e si appresta a farlo per quasi altri quattro. Una donna alla guida della Germania, in altre parole, non basta a depurare un paese di 82 milioni di abitanti dalle proprie scorie di maschilismo. Sia chiaro, la Repubblica federale tedesca non è un esempio di arretratezza socio-culturale. Al contrario, le istituzioni sono bene attente alle esigenze delle donne, a cominciare dagli ammortizzatori sociali modellati sulle necessità delle mamme lavoratrici. Studi recenti dell’Università di Mannheim dimostrano che negli ultimi dieci anni le donne tedesche hanno lavorato di più e fatto più figli grazie al sapiente dosaggio di congedi di maternità obbligatori e alternativi.

 

Ridurre tuttavia il ruolo della donna a quello di madre sarebbe quantomeno riduttivo. E secondo Ofer Waldman neanche la nordica Germania è priva di pecche quando si tratta di rispettare l’altra metà del cielo. Israeliano di nascita e tedesco di adozione – si è trasferito a Berlino nel 1999 – Waldman ha messo “in pausa”, dice lui, la carriera di suonatore di corno a cavallo fra la Deutsche Oper Berlin e la Israel Philharmonic Orchestra per dedicarsi alla germanistica. Nel tempo libero che tre figli e un dottorato da concludere in Letteratura tedesca gli lasciano, Waldman collabora con Deutschlandfunk Kultur, il canale colto della radio pubblica tedesca. E’ attraverso la radio che il cornista renitente ha lanciato un interrogativo: perché #MeToo non ha sfondato fra il Reno e l’Oder? Lungi dall’essere personaggio dell’anno sulla scia della controversa scelta di Time e lontana dagli onori della cerimonia dei Golden Globe, la campagna contro gli abusi sulle donne in Germania è rimasta in sordina. Un silenzio “sospetto”, secondo Waldman che nella sua valutazione si è trovato in buona compagnia. Lo Spiegel, per esempio, si è chiesto “perché il #MeToo è cosi silenzioso in Germania?” Per molti le molestie alle donne non sono questioni di pubblico dominio ma rimangono di pertinenza dei tribunali, si è risposto il settimanale. Nessuno contesta la legge contro le violenze, “ma non basta a ottenere un cambiamento”, osserva ancora lo Spiegel chiedendosi: “Può essere mai che nel ‘paese dei colpevoli’ manchi l’abitudine di ascoltare le vittime, in uno storico ritirarsi dalla colpa e dalla vergogna, per cui anche le vittime sono state trasformate nell’anonima cifra di sei milioni?”. Da parte sua la Frankfurter Rundschau (FR) ha ricordato il supporto al #MeToo tributato dalla regina Silvia di Svezia, osservando: “Ce lo vedete il presidente Frank-Walter Steinmeier a un evento #MeToo?”. Per la FR, il dibattito è stato ridicolizzato, facendolo ruotare solo attorno alla questione se gli uomini possano ancora fare complimenti alle loro colleghe. Altro tabù culturale dei tedeschi, ha scritto il quotidiano di Francoforte, è che “a differenza di quanto succede negli Stati Uniti, chi parla di esperienze negative subìte è considerato debole, e l’atto di emancipazione confuso per un pettegolezzo”.

 

Il punto, tuttavia, per Waldman è un altro. “Il corpo della donna tedesca è una metafora dell’orgoglio nazionale tedesco”, dice al Foglio. E’ la “difficile tradizione”, aggiunge eufemisticamente, della Rassenschande, dell’oltraggio o contaminazione razziale che la donna tedesca subisce quando è violata da uno straniero. Che si tratti degli stupri sistematici delle donne tedesche perpetrati dai militari dell’Armata Rossa nel 1945 o delle molestie di gruppo commesse da alcune centinaia di immigrati, in gran parte nordafricani, in piazza a Colonia nella notte del Capodanno 2016. Stampa e opinione pubblica seguirono con vero orrore i fatti di Colonia e da allora le feste pubbliche sono ampiamente militarizzate per evitare il ripetersi di fatti di quel genere. Da giornalista radiofonico, Waldman aggiunge di non avere risposte ma solo domande. “Perché in Germania si parla di #MeToo solo quando le molestie sono commesse da stranieri? Vogliamo combattere la violenza sulle donne in quanto tale o solo quando è di origine estera? Nel primo caso faremmo una cosa nobile, nel secondo saremmo razzisti”. Poiché è evidente che neppure la Germania è immune agli abusi verbali, fisici o psicologici sulle donne, è bene che i tedeschi comincino a parlarne, anche al netto degli stranieri. Andata in onda martedì, mercoledì la trasmissione di Waldman risultava la più riascoltata sul sito web della radio. “Io non ho fatto altro che mettere in luce l’esistenza di una struttura di potere sulle donne accostando #MeToo e Colonia”, conclude Waldman. “Il fatto più notevole sono stati i commenti anche sui social: le donne mi hanno ringraziato, gli uomini si sono tutti offesi personalmente: nessuno però si è accorto che io non volevo parlare solo di #MeToo ma anche di razzismo: commessa da un tedesco o da un nordafricano, la molestia resta sempre tale”.

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