Silvio Berlusconi e Benjamin Netanyahu (foto LaPresse)

La tentazione di Berlusconi su Gerusalemme

Giuliano Ferrara

Il Cav. non crede alla battaglia contro Netanyahu e Trump, è sempre stato pro Israele ma non anti arabo-palestinese, e sa che riconoscere la nuova capitale è l’unico rilancio possibile per la pace

Berlusconi ha la tentazione di dire: Gerusalemme è la capitale di Israele, ovvio, e alla fine questo è l’unico solido messaggio di pace, l’unico rilancio di una possibile politica di negoziato bilaterale dopo tanti fallimenti, a patto che si faccia strada la vecchia idea italiana e mia di un Piano Marshall per la Palestina. La tentazione lo pervade intimamente, tanto è vero che ha scelto a lungo di tacere. Ci sono ragioni di prudenza legate alla posizione dell’Unione europea, ma alla fine la responsabilità di governo che Berlusconi si sente addosso, comunque poi vada a finire, è al momento temperata dal formidabile effetto di legittimazione politica di una vecchia posizione pro Israele ma non anti arabo-palestinese che fu una costante della sua politica estera negli anni d’oro. Ora che il problema Putin è stato sistemato con un giusto e ovvio ridimensionamento delle incaute e un po’ frescone affermazioni di Jo Biden sull’interferenza kagebista nel referendum del dicembre, ora sarebbe il momento.

 

Su Donald Trump Berlusconi è sempre stato attento e cauto, spiritoso ed elusivo. Sa di essere il suo vero anticipo sulla scena mondiale, e modello, ma in una forma compatibile, plebiscito popolare usato in senso istituzionale, sia pure con una lingua pop che non è mai stata di legno. Sa di essere stato uguale e diverso dal suo successore in chief, come fenomeno televisivo e industriale che si appropria di una grande retorica riformatrice e della politica tradizionale, sconvolgendola, ma in un quadro di mitezza, di alleanze spericolate (Lega e neofasci) che riconciliano e integrano gli estremisti invece di aizzarli e blandirli da mane a sera. Su Israele c’è tuttavia una netta analogia psicologica, prepolitica, di bandiera e di iniziativa. Dunque: perché no? Perché non dire scandalosamente e à contrecoeur che la realtà di Gerusalemme capitale di Israele è un fatto e che è da lì che bisogna ripartire con negoziati e armeggi di pace?

 

E’ la domanda che nel suo intimo, e nel suo inner circle, Berlusconi oggi si rivolge. L’effetto sarebbe clamoroso, ma non da fuochi d’artificio, sarebbe un modo di affacciarsi sulla scena europea e mondiale con un punto di vista fresco, non banalmente onusiano, da parte di un leader che negli anni scorsi è sempre stato dall’altra parte, e in modo netto, rispetto alla linea culturale della delegittimazione e del boicottaggio, perfino, di Israele. E metterebbe in imbarazzo, ma senza asperità che a Berlusconi oggi non convengono, la classe dirigente governativa del Pd. Quanto a Grillo, è un pasdaran iraniano ad honorem, non fa testo, come in mille altri casi, è out. Può essere che alla fine tutto venga risistemato all’insegna della pigrizia e del tran tran. Già una volta, sulla storia della inverosimile Costituzione europea, un processo malamente guidato in Italia da Giuliano Amato e Gianfranco Fini (ohibò), il Cav. si fece fregare, nonostante buoni suggerimenti in contrario, e per fare la padrona di casa nell’anniversario dei patti di Roma fu costretto a seguire i protocolli di una cosa che non sarebbe mai avvenuta, e fu smentito dai referendum francese e olandese nel giro di pochi mesi, con un certo sensibile danno per la sua autonomia di movimento. Può essere che l’inerzia prevalga ancora, ma è certo che Berlusconi alla battaglia contro Netanyahu e Trump sulla questione di Gerusalemme non ci crede, e magari la sua generosa vecchiaia potrebbe suggerirgli uno scatto di gioventù. Chissà.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.