Come funziona l'algoritmo di Facebook quando si parla di Gerusalemme

Redazione

Senza motivo si bannano giornalisti e se ne cancellano i contenuti

Come funziona la democrazia dell’algoritmo? Anche coi colpi (misteriosi) della censura. Nel weekend, il giornalista del Foglio Giulio Meotti aveva scritto alcuni post su Facebook in difesa della decisione americana di riconoscere Gerusalemme capitale di Israele e contro l’antisemitismo europeo, in particolare della Svezia. Il redattore si è ritrovato bannato da Facebook per ventiquattro ore e ha visto due suoi contributi scomparire dal gigante social, con l’avviso che avevano violato le “norme etiche” di Facebook. Ma questi post non contenevano nulla di incendiario (a meno che non si consideri un “si fottano” finale e generico ragione sufficiente per bannare giornalisti e cancellarne gli articoli).

 

 

Facebook ha poi riconosciuto l’errore e ha ripristinato uno dei due contenuti rimossi, con questo messaggio: “Ce ne scusiamo sentitamente. Abbiamo ripristinato il contenuto che adesso dovrebbe essere visibile”. Al di là del merito di questi articoli, è stupefacente come in Facebook possa innescarsi un meccanismo di segnalazioni di post considerati ostili da gruppi ideologici (filopalestinesi?) e che questo “shitstorm” possa innescare la sospensione di un account e la cancellazione dei suoi contenuti, oltre alle centinaia di condivisioni che l’articolo aveva aveva raccolto. In un linciaggio reale l’aggressore ha (quasi) sempre un volto. In questo virtuale, che imbarbarisce il dibattito e il confronto civile, si viene linciati in una stanza buia senza che nessuno può assistere. C’è solo l’algoritmo che avalla.

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