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Cosa c'entra Erdogan in un caso torbido di oro, petrolio e sanzioni all'Iran

Redazione

Un faccendiere turco-iraniano sotto processo a New York ha implicato il presidente della Turchia in uno schema miliardario di infrazione delle sanzioni contro Teheran, che mette a rischio Ankara e perfino l’Amministrazione Trump

Un faccendiere turco di origini iraniane sotto processo negli Stati Uniti, Reza Zarrab, ha accusato ieri il presidente della Turchia, Recep Rayyip Erdogan, di avere autorizzato personalmente un’operazione miliardaria di riciclaggio di denaro tra Turchia e Iran e di aver violato le sanzioni contro Teheran.

 

Il processo, istruito dal Tribunale di New York, vede come imputati il banchiere turco Mehmet Hakan Atilla e altri sette uomini in contumacia. Atilla era un alto dirigente della banca di stato Halkbank, ed è stato accusato di aver messo in atto tra il 2010 e il 2015 uno schema di scambi illegali tra petrolio e gas iraniani e oro e beni non danariferi turchi – che poi, attraverso una serie di complicati passaggi bancari, sarebbero stati trasformati in dollari, valuta forte preziosa per l’Iran. Il commercio ha fruttato miliardi di dollari, ed è considerato un’evidente violazione delle sanzioni occidentali contro Teheran. Anche Zarrab, considerato l’uomo-chiave dei traffici, era tra gli imputati, ma lo scorso 26 ottobre si è dichiarato colpevole (i reati imputati contro di lui sono sette in tutto, tra cui cospirazione per aver violato le sanzioni) e ha iniziato a collaborare con la giustizia americana.

 

A quel punto il governo turco, che da mesi è in fibrillazione per la vicenda, è entrato in modalità di emergenza. Erdogan, che già a settembre aveva espresso le sue preoccupazioni in una telefonata a Donald Trump, ha detto che il processo è parte della trama golpista del suo arcinemico Fethüllah Gülen, e ha annunciato ritorsioni gravissime.

 

Mercoledì, al suo primo giorno di testimonianza, Zarrab ha accusato Mehmet Zafer Caglayan, ex ministro dell’Economia turco e tra gli imputati al processo, di aver ricevuto decine di milioni di dollari di mazzette da Zarrab stesso per agevolare lo schema di “gold for oil” messo su con l’Iran. Giovedì però è arrivata la vera bomba, e Zarrab ha detto che Erdogan in persona, che al tempo era primo ministro, avrebbe autorizzato almeno una delle transazioni coinvolte nello schema miliardario. Zarrab ha detto di aver saputo del coinvolgimento di Erdogan dal ministro Caglayan. Ha inoltre ingrandito la lista degli istituti finanziari turchi coinvolti nell’operazione, accusando anche la Ziraat Bank e VakifBank.

 

I portavoce di entrambe le banche hanno respinto le accuse di Zarrab, e ovviamente Erdogan ha risposto furente: “Non abbiamo infranto le sanzioni. Qualunque verdetto uscirà, noi abbiamo fatto la cosa giusta. Non avevamo nessun impegno con gli Stati Uniti (in relazione alle nostre politiche energetiche iraniane)”.

 

Lo scandalo intorno a Zarrab ha conseguenze macroscopiche. Per la politica turca, ovviamente, poiché per la prima volta probabilmente dall’inizio della sua carriera Erdogan vede minata la sua immagine pubblica di uomo pio e incorruttibile, e l’opposizione, per quanto martoriata, sta già cercando di approfittare della situazione. Ci saranno conseguenze notevoli anche per i rapporti tra Turchia e Stati Uniti, specie se il verdetto del Tribunale sarà duro contro gli imputati: a inizio novembre, il primo ministro turco Binali Yildirim ha detto al vicepresidente degli Stati Uniti, Mike Pence, che il caso Zarrab “sta avvelenando le relazioni tra i due paesi”. Ma ci potrebbero essere conseguenze pesanti per la stessa Amministrazione Trump.

 

Il fatto che i federali americani abbiano offerto un accordo a Zarrab potrebbe essere legato anche all'inchiesta su Michael Flynn, ex consigliere per la Sicurezza nazionale di Trump coinvolto nel Russiagate. Non è un segreto che Flynn abbia avuto legami molto stretti con il governo turco, anche dopo la nomina. Di queste relazioni, la più importante è una trama per far tornare in Turchia Gülen, l’arcinemico del presidente Erdogan. Ma c'è di più: Nbc News ha riferito all'inizio di questo mese che nello stesso incontro di dicembre in cui è stato discusso di Gülen, Flynn e i suoi interlocutori turchi potrebbero aver ragionato su come garantire la libertà a Zarrab e quindi portare un po' di tranquillità a Erdogan. Come riportato, l'intero accordo avrebbe fatto guadagnare a Flynn e suo figlio circa 15 milioni di dollari.

 

La giuria di New York, insomma, dovrà districarsi non solo in una trama complicata ma anche in una vicenda lunga anni. Come sempre la valanga comincia con un minuscolo incidente. Alla vigilia di capodanno 2012 gli agenti della dogana turca salgono su un Airbus A330 diretto dal Ghana agli Emirati Arabi, costretto a fare rifornimento a Istanbul. Nella stiva, ovviamente non dichiarata, trovano una tonnellata e mezza d'oro. In seguito, le autorità stabiliscono che la spedizione era parte di una gigantesca operazione di riciclaggio per pagare in dollari petrolio e gas iraniani, superando le sanzioni. Lo schema sarebbe stato supervisionato da un giovane imprenditore di nome, appunto, Reza Zarrab.

 

E qui la valanga inizia a scendere sempre più veloce. Il faccendiere è arrestato in Turchia nei primi giorni del 2013, con l’accusa di aver costituito un’organizzazione a delinquere che coinvolgeva anche l’ex ministro dell’Interno, quello dell’Economia e l’allora direttore della Halkbank. I due politici si dimettono. Egemen Bagis, allora ministro per gli Affari europei, è coinvolto nelle indagini e viene sollevato dall’incarico. La procura ordina anche il fermo di Bilal Erdogan, figlio del presidente, che però la polizia si rifiuta di arrestare. Fino al 2013 Gülen era uno stretto alleato di Erdogan. Da quei giorni i rapporti tra loro si fanno tempestosi. La teoria, diffusa da alcuni analisti turchi, è ardita ma possibile: il grande terremoto della politica turca degli ultimi anni, che ha visto la rottura dell’alleanza tra Gülen ed Erdogan e ha portato il sultano turco verso posizioni sempre più autoritarie, avrebbe molto a che fare con il caso Zarrab.

 

La contromossa dell’Akp è rimuovere i procuratori che seguivano le operazioni - vicini all’organizzazione gülenista, dichiarata terroristica dal 2015 - e ricollocare o arrestare centinaia di magistrati. Il caso viene archiviato e dopo 40 giorni di carcere Zarrab viene rilasciato e riabilitato. Secondo David W. Denton Jr., il pubblico ministero che si occupa del caso al Tribunale di New York, Zarrab si sarebbe comprato la libertà e la riabilitazione, pagando milioni di dollari ad alti ufficiali turchi per insabbiare il caso. Nel 2015 Zarrab riceve perfino un premio come miglior commerciante di gioielli del paese, direttamente dalle mani del vice premier Numan Kurtulmuş.

 

A fine marzo 2016, Zarrab raduna la famiglia per una vacanza americana. Destinazione Disney World, Orlando, Florida. Lì viene arrestato dagli americani. Perché Zarrab abbia deciso di andare negli Stati Uniti, dove era a rischio per la storia delle sanzioni, non è chiaro. Una risposta può essere che in quel periodo i pubblici ministeri in Iran hanno accusato uno dei più ricchi uomini d’affari del paese, Babak Zanjani, di aver deviato dalle casse statali 2,7 miliardi di dollari di proventi petroliferi. Un influente parlamentare iraniano ha affermato che se c’è qualcuno che sa dove Zanjani ha messo i soldi, quello è Zarrab. L'Iran ha condannato a morte Zanjani. Due settimane dopo, il faccendiere arriva in Florida.

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