Europa Prima Pars Terræ in Forma Virginis, una mappa dell'Europa di Heinrich Bünting , 1582

A cosa badare per non perdere lo slancio neoeuropeista

Paola Peduzzi

Un titolo sul “nuovo disordine” dell’Ue è un colpo al cuore

Milano. La copertina dell’ultimo numero del New Statesman, magazine inglese di sinistra, è un colpo al cuore. “Europe: the new disorder”, il nuovo disordine europeo, “non siate scemi, il continente è ancora in crisi”. Siamo sopravvissuti, non siamo salvi. L’autore dell’articolo è Brendan Simms, uno storico irlandese che insegna a Cambridge, è il presidente del think tank Henry Jackson Society, e ha scritto molti libri sulla storia europea e britannica. Una decina di giorni prima del referendum sulla Brexit del 2016, in una conversazione con il Foglio, aveva spiegato che l’uscita dall’Ue non era nell’interesse britannico, ma che anche l’Europa doveva stare attenta a finire in un negoziato convulso e precipitoso: “Non c’è Brexit senza Euroexit”, diceva Simms, e con Euroexit intendeva un’uscita dell’Ue dai compromessi cui si era spesso piegata, annacquando le premesse liberali di unificazione su cui era nata.

   

È per questo che oggi Simms è così duro e reintroduce nel dibattito l’idea di un nuovo disordine, “quel che viene salutato come il ‘ritorno’ dell’Europa è soltanto una sopravvivenza temporanea dell’Unione europea”, dice. La Brexit costerà cara anche all’Europa, il Fondo monetario a tal proposito ha ribadito che pure se le previsioni economiche sembrano più floride, bisogna “prepararsi ai giorni di pioggia”, mentre molti analisti sostengono che con aspettative più alte anche i risultati dovranno essere più concreti e solidi. Sotto pressione e con grandi attese non lavoriamo bene noi, figurarsi i burocrati europei, ma è chiaro che ormai le bandiere blu con le stelline dorate con cui ci siamo avvolti e abbracciati nel 2017 della sopravvivenza non sono più sufficienti ad alimentare e sostenere il “ritorno” dell’Europa.

    

Simms fa un elenco molto lungo e molto perfido di tutti i problemi che ha l’Unione europea, dalle ingerenze russe alla frattura est-ovest, dalla crisi dei migranti alla tenuta delle frontiere aperte, dalla crisi mai risolta dell’euro alla Catalogna, “una contraddizione nel cuore del progetto europeo”. 

  

Lo stallo nei negoziati del governo tedesco inietta altra incertezza sul futuro, visto che la road map delle riforme europee inizia già a dicembre e quasi certamente dovrà slittare. Simms è piuttosto brutale contro la “rule merkeliana”, al contrario è molto positivo nei confronti di Emmanuel Macron, presidente francese, che oggi sembra destinato a prendersi sulle spalle non soltanto le riforme francesi – che non sono facili – ma anche quelle del continente intero, che sono molto difficili. Chi considera Macron un bluff sbaglia, dice Simms, “non c’è niente di vago nel suo programma”, nella sua volontà di “una unione politica completa”. Il problema semmai è riuscire a metterlo in pratica, e lo storico traccia già oggi tutti gli ostacoli possibili, dei quali uno più ideologico che ha a che fare con il dibattito sempiterno sull’Europa a due velocità (“little Europe”). Soprattutto, sottolinea Simms, il fatto che il populismo sia superato è al limite della fake news: è stato tamponato, certo, ma se non si risolvono i problemi che l’hanno causato, tornerà, più acido di prima.

       
Non è mai bello farsi fare la ramanzina da un giornale britannico, per quanto anti Brexit com’è il New Statesman, ma un po’ di allarmismo è salutare. Altrimenti l’Europa rischia di scambiare la propria sopravvivenza per un’assicurazione sulla vita a tempo indeterminato, che finirebbe per riportarla davvero nella crisi. L’invito finale di Simms è una metafora medico-chirurgica che fa intendere che il paziente è già malato: “C’è moltissimo da salvare nel progetto europeo, ma non c’è tempo da perdere. Le crisi stanno diventando più profonde e più ravvicinate; le contrazioni sono più ravvicinate e se non si fa qualcosa rapidamente porteranno non alla vita, ma alla morte. Macron dovrebbe iniziare a operare l’Europa ora senza aspettare di vedere se l’operazione in Francia ha avuto successo. Le possibilità di farcela potrebbero non essere alte, ma senza nemmeno provarci il fallimento è sicuro”. Non tutti sono d’accordo sul fatto che la crisi sia già qui, anzi. Ma a ritrovarsi impantanati nel 2018 ci vuole niente.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi