Perché Milano teme di perdere la grande occasione dell'Ema

Alberto Brambilla

Oggi i ministri dei 27 paesi europei voteranno a scrutinio segreto

Roma. Nel fare un bilancio tra le buone chance di vittoria e le insidie possibili probabilmente sta prevalendo una forma di scaramanzia tra i diplomatici che hanno promosso Milano per ospitare l’Agenzia europea per i medicinali (Ema), considerata una delle più rilevanti tra le quaranta agenzie Ue, che lascerà Londra dopo la Brexit. Giovedì Carlo Bonomi, presidente di Assolombarda, e Roberto Maroni, presidente di Regione Lombardia, hanno posato “ottimisti” tenendo come sfondo Palazzo Gio’ Ponti dove campeggia il cartellone “Milano nuova luminosa casa per l’Ema”. Ma nei palazzi milanesi prevale prudenza, si fanno pronostici che danno chance di vittoria al 40 per cento. Eppure Milano è la favorita dai broker. Per Ladbrokes è in testa (quotazione 2 a 1) con un ampio margine sulle altre. Ci sono concorrenti considerate tecnicamente valide come Amsterdam, Vienna e Copenhagen. Ma scontano deficit logistici.

 

La capitale olandese, data tra le favorite, non ha una sede definitiva per ospitare uno staff fisso di 900 persone e che riceve 35 mila scienziati e ricercatori in visita ogni hanno. La capitale danese invece non ha una sede unica, ma più edifici. Milano offre il centrale grattacielo Pirelli, subito libero e senza pagare affitto. Barcellona è una candidatura in declino vista l’incertezza per il business dopo il voto indipendentista in Catalonia. Bratislava è considerata la rivale più pericolosa dal centro-est europeo perché l’area, dove avanzano sentimenti ostili all’integrazione europea, è sotto-rappresentata in fatto di agenzie Ue. Il 70 per cento dei dipendenti dell’Ema, secondo un sondaggio interno, però lascerebbe il posto se la sede sarà Bratislava, paralizzando il lavoro dell’ente di supervisione e controllo della sicurezza dei medicinali. La Germania sembrava sostenere la Slovacchia in ottica politica, favorendo l’inclusione europea, ma il ministro degli Esteri in uscita, il socialdemocratico Sigmar Gabriel, ha detto che Milano ha buone possibilità. Un segnale, dice una fonte governativa italiana, che probabilmente i tedeschi si sono convinti a lasciare un approccio geopolitico per uno che tenga conto dell’importanza dell’organismo per la tutela della salute dei cittadini europei. La consapevolezza che la sfida non è vinta nasce però da una procedura di votazione non trasparente e dall’esito imprevedibile.

 

Oggi al Consiglio Affari Generali i ministri europei dei 27 paesi voteranno a scrutinio segreto – le schede verranno distrutte in seguito (insieme si deciderà la collocazione dell’Agenzia bancaria europea, Eba, per cui è favorita Francoforte). Al primo turno ogni paese avrà un voto che vale tre punti, poi uno che ne vale due e uno che ne vale uno solo. A meno che una città non riceva una maggioranza forte al primo round, passeranno i primi tre candidati e si voterà finché non ci sarà un vincitore. Il risultato, pur condizionato da forte lobbing, è imprevedibile perché ogni paese potrebbe votare per sé o favorire candidati già deboli per creare confusione. Nella sua opera diplomatica, l’Italia ha mosso le corazzate visto che l’Ema è una grande occasione di ulteriore avanzamento economico-sociale per Milano e per l’Italia dove il settore farmaceutico contribuisce essenzialmente alla produzione industriale. L’Italia ha applicato lo schema che funzionò per la vittoria di Expo2015. L’approccio diplomatico “anglossassone”, cioè non solo attraverso canali politici, ma con la mobilitazione di un gruppo di imprese private (farmaceutiche e chimiche) e di stato coordinate con associazioni imprenditoriali nazionali e lombarde per convincere soprattutto gli stati periferici, dato che il voto di un paese piccolo vale quanto quello del più popoloso. Per Expo furono decisivi i voti africani. La delegazione ha toccato undici tappe tra cui Portogallo, Malta, Grecia, Cipro, Polonia, Bulgaria, Estonia, Slovenia. La diplomazia di Roma s’è spinta al punto da offrire in ottobre 140 truppe in Lettonia per le missioni Nato negli stati baltici, preoccupati dalla Russia.

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  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.