Michel Barnier e David Davis. Foto LaPresse/XinHua

Show me the money. Sulla Brexit l'Europa si prepara anche al “no deal”

David Carretta

Si valuta un periodo di dilazione per il saldo, ci dice un leader dei 27. Che si aspetta una sorpresa da Londra, “una crisi politica o nuove elezioni”. Le banche intanto perfezionano i piani di trasloco

Bruxelles. Michel Barnier e David Davis si ritrovano oggi e domani per il sesto round di negoziati sull’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, ma il premier britannico Theresa May “è così debole che non cambierà nulla”, dice al Foglio Charles Tannock, eurodeputato conservatore che ha preso la cittadinanza irlandese per sfuggire alla Brexit. La ragione dello stallo tra il capo negoziatore dell’Ue e il ministro britannico per la Brexit è la stessa del round precedente: il “Brexit bill”. Barnier vuole che Davis metta nero su bianco la promessa di May a Firenze di rispettare gli “impegni” finanziari assunti dal Regno Unito come membro del club (il che significa continuare a pagare fino al 2022-23) e indichi una formula matematico-finanziaria. Senza chiarezza sul “conto della Brexit”, i capi di stato e di governo non certificheranno i “progressi sufficienti” per passare a discutere di periodo transitorio e relazioni future. Così Francia, Germania e altri intendono preparare due bozze di conclusioni per il vertice di dicembre: la prima nel caso che siano realizzati progressi sufficienti, la seconda nel caso contrario. Tradotto: oltre a iniziare i preparativi interni per avviare le discussioni su periodo transitorio e relazioni future, l’Ue comincia anche i preparativi per il “no deal”. “Nessuno sa quale sarà il punto di caduta” dei negoziati sulla Brexit, confessa al Foglio un leader dei 27: “C’è imprevedibilità. Tutti gli scenari sono possibili”.

    

La mancanza di leadership politica di May a Londra rappresenta “una grossa difficoltà nei negoziati. Di fronte abbiamo un partner britannico troppo debole per fare concessioni e compromessi”, spiega un leader dei 27, chiedendo di rimanere anonimo. Vale soprattutto per il “Brexit bill”: il conto per il Regno Unito è “gigantesco” e sarà “uno choc per l’opinione pubblica britannica”. 

   

I leader dei 27 hanno promesso di essere leali nei confronti della May, ma non saranno ingenui. Sulla cifra l’Ue non può e non vuole transigere, perché ci rimetteranno sia i paesi ricchi (i contributori netti) sia quelli poveri (i beneficiari netti). Il massimo che i 27 possono concedere è un periodo di dilazione per saldare il conto della Brexit in una decina di anni (“come un debitore inadempiente”, ironizza il leader). Se ci sarà un periodo transitorio che permette al Regno Unito di restare di fatto dentro l’Ue per qualche anno (fino all’entrata in vigore dell’accordo di libero scambio chiesto da May), il conto della Brexit salirà oltre i 60-100 miliardi. Di fronte a queste cifre, e viste le difficoltà politiche interne, i leader dell’Ue dubitano che May sia nella posizione di fare quel che le si chiede. Oltre al “Brexit bill” si stanno accumulando altri ostacoli. Alcuni diplomatici sottolineano che le difficoltà di trovare una soluzione per la frontiera in Irlanda sono “sottovalutate”. In una riunione degli ambasciatori sono state discusse condizioni sul periodo transitorio che sarebbero difficilmente accettabili per la May. E a Bruxelles e nelle capitali si inizia a ragionare su un “regime change” a Londra. “Se ci sarà una sorpresa, verrà da una crisi politica o da elezioni nel Regno Unito”, spiega il leader dei 27.

  

La sorpresa potrebbe assumere diverse forme. In un rapporto pubblicato ieri, il Consiglio degli esperti economici della cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha ribadito la sua richiesta di lavorare per “prevenire” l’uscita del Regno Unito dall’Ue. Se non sarà possibile, è necessario “concedere un’estensione unica” dei negoziati sulla Brexit, perché le trattative vanno troppo a rilento e il pericolo è quello di un’uscita “incontrollata”, ha avvertito il Consiglio degli esperti economici. Già a settembre la presidente lituana Dalia Grybauskaite, che si è dimostrata un oracolo affidabile dell’Ue, aveva suggerito di concentrarsi su un “periodo addizionale” dei negoziati invece che sul “periodo transitorio” chiesto da May per il dopo Brexit. L’instabilità continua a essere il pericolo più grave: come rivelato dal Financial Times ieri, in un incontro riservato con il segretario al Commercio americano Wilbur Ross, le grandi banche globali che operano a Londra (JPMorgan, Goldman Sachs, Hsbc e altre) hanno avvertito che ci si avvicina rapidamente al “punto di non ritorno”. Se entro tre mesi non ci sarà chiarezza sui negoziati della Brexit e su quel che verrà dopo l’uscita, le banche faranno scattare i piani per traslocare le attività finanziarie e 10 mila posti di lavoro sul Vecchio continente o in America.

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