Il Presidente Paolo Gentiloni incontra l'Emiro del Qatar (LaPresse/Palazzo Chigi/Tiberio Barchielli)

Non solo business. Così l'Italia può tornare a contare in medio oriente

Gianni Castellaneta

Prima l'India, poi l'Arabia Saudita, gli Emirati, il Qatar. La diplomazia economica guidata da Gentiloni fa passi in avanti

Dopo l’importante tappa indiana, che ha permesso di fare finalmente un passo avanti alle relazioni bilaterali tra Roma e Nuova Delhi in seguito all’annosa vicenda dei marò, la tappa successiva del viaggio di Paolo Gentiloni è il medio oriente. Arabia Saudita, Emirati Arabi, Qatar: un percorso quasi obbligato in ragione degli importanti interessi economici dell’Italia in ciascuno di questi tre paesi, ma non scontato per le implicazioni politiche che negli ultimi mesi non hanno visto scorrere buon sangue tra Riyad e Abu Dhabi da un lato, e Doha dall’altro.

 

La missione internazionale del premier ha un taglio innegabilmente economico. L’Italia ha accresciuto negli ultimi anni i propri legami con le monarchie del Golfo. Non solo in virtù delle esportazioni di beni di consumo, sempre più richiesti soprattutto nel segmento dei prodotti di lusso e associati al “made in Italy”, ma anche per quanto riguarda gli investimenti, specialmente nel settore delle infrastrutture, dove grandi gruppi come Salini-Impregilo sono presenti con progetti strategici come la realizzazione della metropolitana di Riyad. Per quanto riguarda invece Emirati e Qatar, che hanno visto un rallentamento della crescita economica, è importante offrire un segnale di rinnovato interesse da parte del nostro tessuto imprenditoriale al fine di sfruttare al meglio le opportunità che da qui ai prossimi anni saranno offerte dall’organizzazione di Expo 2020 a Dubai e dei Mondiali di calcio del 2022 in Qatar.

 

Accanto al business, il viaggio di Gentiloni ha però anche una fondamentale connotazione politica. L’Italia ha tutto l’interesse ad adottare una linea mediana nell’area, senza sbilanciarsi troppo a favore dell’uno dell’altro attore. Il tentativo riformista (è ancora presto per dire se sia solo apparente oppure reale) del principe ereditario saudita Salman, che è promotore di grandi innovazioni tecnologiche e anche di un rinnovamento ambientale ed energetico (la costruzione dell’avveniristica città Neom e il piano “Vision 2030” sono le punte di diamante di questa strategia), interessa l’Italia in quanto potrebbe essere incanalato verso un ammorbidimento delle relazioni con i paesi vicini. Dall’altro lato, infatti, è l’Iran il grande nemico dei sauditi; ed è proprio la rivalità con Teheran a creare frizioni nella regione che non vanno a vantaggio di chi, come l’Italia, desidera stabilità anche per promuovere i propri interessi.

 

Perseguire l’equilibrio tra le potenze mediorientali – Arabia Saudita e Iran, ma anche Turchia – è la stella polare dell’azione diplomatica italiana nella regione. Non è una sfida che possiamo però vincere da soli: i contrasti tra sciiti e sunniti, alla base dell’instabilità nel mondo islamico e che ricordano – con le dovute proporzioni – i lunghi conflitti tra cattolici e protestanti, devono essere posti sotto controllo attraverso un’azione multilaterale di ampio respiro. Ecco perché sarebbe opportuna la convocazione di una grande conferenza regionale sul medio oriente che affronti i nodi principali sul tappeto, dalla ricostruzione della Siria alla soluzione della questione curda. Una simile iniziativa, se condotta in porto con successo, avrebbe anche effetti molto benefici per la diplomazia economica italiana ed europea, aprendo una via di sviluppo che attraverserebbe la regione mediorientale fino al Golfo persico, incrociandosi strategicamente con la nuova Via della Seta. Raramente come in questo caso geopolitica e interessi economici si fondono: Gentiloni l’ha giustamente compreso e con questo viaggio può rafforzare seriamente le basi della nostra presenza nella zona.