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Putin vuole costruire il suo ponte sullo stretto, e riuscire dove Stalin fallì

Micol Flammini

Il leader dell'Unione sovietica voleva realizzare una struttura che colegasse l'isola di Sachalin alla terra ferma. Lui non ce l'ha fatta, il capo del Cremlino potrebbe

Roma. Vista dalla terraferma, l’isola di Sachalin sembra un coccodrillo. Lunga e stretta, si trova nell’oceano Pacifico e negli anni è passata dai cinesi ai giapponesi, fino a diventare territorio russo nel 1945. Anton Cechov le dedicò un libro. Attraverso quello che definì “un viaggio all’inferno”, lo scrittore arrivò a Sachalin per descrivere i campi di detenzione zaristi. L’isola, infatti, ancor prima che per le sue risorse energetiche, era famosa per i gulag. Cechov si spinse fino all’estremo oriente del territorio russo per conoscere la sua gente, tornò pieno di idee, con “un sentimento che, forse, ha già provato Odisseo mentre navigava per mari sconosciuti” e morì poco dopo di tubercolosi. L’isola di Sachalin non è soltanto un territorio remoto, né un semplice racconto letterario: è una scommessa che Stalin perse e che Putin, ora, potrebbe vincere.  

   

Tra i sogni lasciati incompiuti dal leader dell’Unione sovietica c’era infatti anche la costruzione di un ponte che collegasse  Sachalin al resto della Russia. Stalin morì prima di poterlo realizzare: più di sessant’anni dopo Putin ha annunciato, in un forum a Vladivostok, di voler rilanciare il progetto e sa già a chi affidarlo, all’amico di infanzia Arkadij Rotenberg, uno degli oligarchi russi più colpiti dalle sanzioni occidentali. Proprietario della Stroygazmontaz e attualmente impegnato nella costruzione di un ponte in Crimea. Ci sono già anche le stime dei costi che secondo il presidente russo ammonterebbero a duecentottantasei miliardi di rubli, più di quattro miliardi di euro.

  

L’idea fa parte di una serie di altri progetti che riguardano la costruzione di strade, ferrovie e altre infrastrutture che sono state e continuano ad essere negli anni l’asse portante della politica economica di Putin, nonché fonte di consenso.  Rilanciare proprio ora un piano così ambizioso potrebbe rappresentare o il tentativo di convincere l’elettorato ancora incerto per le elezioni di marzo 2018, oppure l’ultima opera da realizzare, una delle più difficili e dispendiose di cui abbia bisogno la Russia. E non a caso anche Stalin, prima di lui, aveva tentato quest’impresa. Putin sa quanto consenso le opere architettoniche gli abbiano portato finora e, nonostante le critiche sollevate dai più scettici che non credono alla fattibilità del progetto, non è disposto a rinunciare al ponte di Sachalin.

  

Il capo del Cremlino non ha mai lesinato le spese per le infrastrutture, ma questa supererebbe ogni precedente e le casse di Mosca hanno già affrontato i costi del gasdotto Power of Siberia e le nuove opere per i mondiali di calcio del prossimo anno che hanno sfiorato i tremila miliardi di rubli. Le compagnie di Rotenberg sono state tra i maggiori beneficiari della smania di Putin per le infrastrutture: la Stroygazmontaz attualmente sta costruendo un altro ponte, quello che collegherà la Crimea alla Russia e, secondo fonti vicine al Cremlino, sarà pronto per la campagna elettorale. L’assegno  è già stato staccato: 228 miliardi di rubli. Il progetto di Sachalin riprenderebbe quello sovietico: un ponte che copra i 7,3 chilometri dello Stretto dei Tartari, il lembo di mare più sottile che divide l’isola dalla terraferma. Nonostante gli sforzi di Stalin, del suo piano rimangono soltanto le rovine dei cantieri e i resti del campo di lavoro lì vicino. Secondo l’idea di Rotenberg e Putin, il ponte collegherà due piccoli centri, l’insulare Pogibi, abitata da venti persone e Lazarev, una piccola città diroccata con meno di mille abitanti.

  

Una cattedrale nel deserto? Secondo i critici sì. Sull’isola vive mezzo milione di abitanti e in molti sostengono che il ponte non sarà economicamente sostenibile, ma Sachalin sorge su una miniera d’oro: è ricca di gas, petrolio e altre risorse naturali ancora non sfruttate completamente. Già collegata al resto del territorio russo  da gasdotti e oleodotti, il suo isolamento non permette però di usufruire di tutte le sue ricchezze sotterranee. Oltre a un fattore economico, un grande investimento in una zona depressa, la costruzione del ponte serba lo stesso ideale rappresentato da quello in Crimea: collegare via terra e via mare tutta la Russia. Un bel sogno che per essere realizzato ha però bisogno di finanziamenti. Putin vorrebbe ricorrere a dei prestiti per non intaccare il budget statale e conterebbe su un coinvolgimento del Giappone. Secondo fonti vicine alle ferrovie russe, si starebbero già trattando prestiti con le banche di Tokyo. Shinzo Abe, presente al Forum di Vladivostok, quando Putin ha annunciato il progetto è rimasto vago, ma il presidente russo non demorde, anche perché deve vincere ancora una sfida: quella con Stalin.