Recep Tayyip Erdogan con Donald Trump (foto LaPresse)

Qualcuno separi Erdogan e Trump

Redazione

La lite durissima fra Washington e Ankara è pericolosa per tutti

"Birds of a feather flock together", gli uccelli dello stesso piumaggio volano assieme, recita un detto secondo cui chi si assomiglia si piglia. Solo due settimane fa, Trump aveva coperto di lodi Erdogan: “Sta diventando un mio amico”. Ma se i due pavoni sembravano in sintonia, fra sorrisi e strette di mano, adesso le relazioni tra Washington e Ankara stanno precipitando. Nel fine settimana gli americani hanno sospeso la concessione di visti ai turchi. L’ambasciata turca ha risposto con un provvedimento identico. La causa ufficiale è l’arresto di Metin Topuz, dipendente del consolato americano a Istanbul, accusato di appartenere al network di Gülen, l’imam esiliato in Pennsylvania, che Ankara ritiene essere la mente del golpe del 2016. Ma sui rapporti tra i due stati pesano anche il sostegno americano ai curdi e il riavvicinamento turco ai russi.

 

Il provvedimento mette Ankara nella posizione di Ciad, Corea del nord, Libia, Siria, Venezuela e Yemen. Ma la Turchia è uno stato nella Nato dal 1952 ed è un partner essenziale per le operazioni in medio oriente. Più di 37 mila americani hanno viaggiato in Turchia nel 2016, 41 mila nel 2017. La Turchia è tra i primi venti paesi per numero di visitatori in America. L’escalation ha fatto perdere alla lira più del 6 per cento rispetto al dollaro ed è un colpo duro per Erdogan, che ha basato il proprio successo sulle performance economiche. I due leader dall’orgoglio strabordante ora sono bloccati nella posizione geopolitica detta: “Due galli in un pollaio”. Si tratta di capire se riusciranno ad abbassare la cresta e negoziare alla pari, con reciproco vantaggio dei rispettivi interessi di sicurezza nazionale. Perché una Turchia sempre più lontana dalla Nato non è una buona notizia, né per Ankara né per Washington.

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