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Puigdemont dichiara ma sospende l'indipendenza. La secessione si spompa

Eugenio Cau

Il governatore catalano chiede "qualche settimana" per trovare un accordo.Madrid potrebbe ancora applicare il 155. “Tradimento inammissibile”

Roma. La catarsi indipendentista non è arrivata. Carles Puigdemont, governatore catalano, in uno dei discorsi più attesi della storia di Spagna ieri ha “assunto il mandato del popolo per convertire la Catalogna in uno stato indipendente in forma di repubblica”. Applausi dai deputati separatisti del Parlament di Barcellona, che si sono congelati quanto il governatore ha aggiunto: “Io e il governo proponiamo che il Parlamento sospenda gli effetti della Dichiarazione d’indipendenza”, perché in questo momento non è possibile un accordo. Dopo un montare di tensione durato settimane, ieri era sembrato il giorno decisivo per Barcellona. Il Parlament era stato militarizzato dai Mossos d’Esquadra, il corpo di polizia fedele al governo locale, con decine di camionette blindate e altissime barriere. Oltre 30 mila persone con bandiere catalane stellate si erano ammassate nelle strade circostanti, chiamate dai movimenti sociali indipendentisti a “difendere” l’Aula da qualunque colpo di mano avesse tentato Madrid. Sembrava, insomma, che il palco fosse pronto per l’atto finale dell’indipendenza e per il disastro che ne sarebbe seguito, ma Puigdemont si è ritirato all’ultimo. Ha dichiarato effettivamente l’indipendenza, assumendo il mandato del popolo generato dopo il referendum illegale del 1° ottobre, ma immediatamente l’ha sospesa “per qualche settimana”, nell’attesa – se disperata o furba questo è da vedere nei prossimi giorni – che grazie a una mediazione internazionale mai palesata il governo spagnolo conceda una separazione concordata. Il proposito è barcollante, e Puigdemont lo sa, ma il processo indipendentista è finito in un vicolo cieco e tutto quello che il governatore può fare è cercare di gettare la palla nel campo di Madrid, nella speranza che una reazione inconsulta o un inatteso intervento esterno aiutino la sua causa.

Le divisioni nel campo indipendentista sono iniziate già prima del discorso del governatore. La Cup, partito secessionista di ultrasinistra fondamentale per la tenuta della maggioranza al Parlament, ha bloccato l’inizio della seduta per un’ora perché il discorso di Puigdemont era troppo morbido e non era dichiarata l’indipendenza in maniera inequivocabile. Durante il discorso i deputati della Cup non hanno mai applaudito, come l’opposizione, e appena Puigdemont ha finito di parlare l’account Twitter di Arran, organizzazione marxista-indipendentista legata alla Cup, ha accusato il governatore di “tradimento inammissibile”. Le 30 mila persone in strada, radunate attorno ai megaschermi, hanno ripiegato le loro bandiere e sono tornate a casa con aria di delusione palese, e adesso il problema per il fronte indipendentista sarà quello di mantenere alto il livello di mobilitazione – sempre che il fronte indipendentista sopravviva alle divisioni e ai litigi. Secondo un piano per la secessione sequestrato dalla Guardia civil spagnola prima del referendum, il governo locale progettava di resistere al “soffocamento economico e giudiziario” di Madrid attraverso un “conflitto democratico di ampio appoggio popolare”, ma ormai è difficile dire se questo appoggio c’è ancora e sarà sufficiente.

A Madrid nessuno nemmeno si sogna di chiedere al governo di Mariano Rajoy se intende stringere la “mano tesa” di Puigdemont. La linea dell’esecutivo è sempre stata chiara: si potrà iniziare a parlare solo quando i secessionisti avranno rinunciato alla dichiarazione unilaterale di indipendenza. Ma ora che la dichiarazione c’è stata (benché su questo ci siano controversie: Puigdemont non ha mai dichiarato né proclamato nulla, ha assunto un mandato, e alcuni parlano di “dichiarazione implicita”) il governo ha già fatto sapere che agirà di conseguenza. Una delle ragioni per cui Puigdemont ha sospeso la dichiarazione d’indipendenza chiedendo dialogo è quella di evitare l’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione e la sospensione dell’autonomia regionale, ma forse nemmeno questo potrebbe bastare a salvarlo.

Eugenio Cau

  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.