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Il Papa è per la Spagna unita, per la mediazione dei vescovi c'è tempo

Matteo Matzuzzi

Sul caso spagnolo, il rischio ora è quello di venire strattonati da una parte

Roma. Quando due anni fa il Papa scelse mons. Juan José Omella per sostituire il cardinale Lluís Martínez Sistach sulla cattedra episcopale di Barcellona, alla Generalitat i mugugni non si contavano. Si ripeteva, nei corridoi, lo slogan che da decenni viene sussurrato abbastanza forte perché le orecchie di Roma riescano comunque a percepirlo: Volem bisbes catalans, vogliamo vescovi catalani. E Juan José Omella catalano non lo è, visto che proviene dalla vicina – ma diversa – Aragona. Parla sì catalano, ma con quella inflessione “occitana” che disturba i sostenitori del distacco dalla detestata Madrid e che fin dal principio gli fecero notare. Poi, con il tempo, l’arcivescovo s’è fatto apprezzare anche nella città di Gaudí, se non altro per la sua linea pastorale che coincide perfettamente con quella di Francesco, senza dubbi o tentennamenti. Ma con l’avvicinarsi del referendum indipendentista, non pochi osservatori hanno ricordato che Omella, da sempre, è assai distante dai progetti secessionisti di Carles Puigdemont. Sospetti aumentati quando all’arcivescovo si è rivolto Mariano Rajoy, nel tentativo – non si sa quanto convinto – di imbastire una mediazione con la Generalitat per risolvere la crisi. Una telefonata ai cardinali di Barcellona e Madrid, nell’attesa che magari qualche iniziativa parta dal Vaticano, con il Papa deciso a cercare di avvicinare le parti. La chiesa è disponibile a svolgere un’opera di mediazione, a patto che i protagonisti accettino le condizioni. Che poi sono le solite: rinuncia alla forza, disponibilità massima al dialogo e rispetto delle più elementari norme del diritto internazionale. Il canovaccio è già stato usato per la crisi cubana e per quella colombiana, e proposto pure per la catastrofe venezuelana. Dove le parti accettano i princìpi-base, la Santa Sede interviene. Dove non lo fanno, guarda dall’esterno l’evoluzione della situazione, contribuendo come può al processo di pacificazione.

 

Quel che si sa rispetto al post voto catalano è che lunedì scorso il Papa ha ricevuto in udienza per mezz’ora Gerardo Angel Bugallo Ottone, ambasciatore spagnolo, in occasione della presentazione delle lettere credenziali. Secondo quanto riportato dal settimanale Vida nueva, Francesco si sarebbe detto contrario ai venti indipendentisti, esprimendo una posizione “contraria a ogni autodeterminazione che non sia giustificata da un processo di decolonizzazione e contraria a iniziative che non rispettino la legalità costituita”. Al di là delle indiscrezioni provenienti da fonte madrilena, la segreteria di stato finora non ha avuto richieste precise e circostanziate per entrare nella faccenda, anche perché la situazione appare troppo ingarbugliata per poter mettere in campo un’azione diplomatica con qualche prospettiva di successo. Il rischio, proprio come nel caso venezuelano, è quello di finire strattonati da una parte e dall’altra.

 

Finora a esprimersi pubblicamente è stato il cardinale Omella, che la sera stessa del referendum ha commentato la giornata scrivendo su Twitter che “la situazione di violenza che abbiamo vissuto oggi in Catalogna è deplorevole”. Messaggi generici, che hanno la funzione di far sentire la voce e la presenza della chiesa nel caos politico e costituzionale che sta vivendo la Spagna. Per le facilitazioni o le mediazioni ci sarà tempo.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.