Merkel vince ma sotto le aspettative. Crollo dell'Spd

Daniel Mosseri

Secondo gli exit poll il partito della Cancelliera avrebbe ottenuto il 32,5 per cento. Bene il partito nazional-populista AfD (13,5 per cento). Schulz al 20 per cento: “La Grosse Koalition è finita”. E ora Verdi e liberali pensano al governo “Giamaica” 

Berlino. Angela Merkel e il suo partito cristianodemocratico hanno vinto male le elezioni tedesche, secondo le prime proiezioni. Con il 32,5 per cento dei consensi e un distacco di 12,5 punti sugli avversari socialdemocratici della Spd non si è trattata di un’affermazione di misura. Tuttavia, stando alle prime proiezioni il partito della cancelleria ha perso 8,8 punti rispetto all’ampio 41,5 per cento ottenuto quattro anni fa e raccolto decisamente meno di quanto attribuito dai sondaggi (il 36%). Se i risultati saranno confermati dallo spoglio, si tratterà del peggior risultato dell’accoppiata Cdu-Csu, più magro ancora ancora del 35,2% dei voti del 1998, annus elettoralmente horribilis per i moderati tedeschi. E non si tratta di semplice logoramento del leader e del partito al potere: Angela Merkel ha perso una quota di elettori che, abbandonata la Cdu, si sono buttati a destra.

 

Lo prova la performance di Alternative für Deutschland (AfD), il partito nazional-populista e anti-immigrati che incasserebbe – il condizionale è d’obbligo – il 13,5 per cento dei consensi, qualcosa di più dei più rosei sondaggi che gli attribuivano il 13 per cento delle intenzioni di voto. Un ingresso a gamba tesa al Bundestag che fa di AfD il terzo partito più votato in Germania. Sia chiaro, credere che tutti i voti persi dalla Cdu e dai fratelli cristiano-sociali della Csu siano confluiti nel partito nato euroscettico nel 2013 e diventato xenofobo nel 2016 sarebbe errato. AfD ha dimostrato la capacità di erodere consensi a tutte le formazioni tedesche (Verdi esclusi).

 

Assieme ad AfD ha fatto bene però anche il partito liberale (Fdp), storico alleato della Cdu, amico delle imprese e tradizionale fautore di un taglio alle tasse e alla spesa sociale. Il 10,5 per cento attribuito al partito di Christian Lindner dalle prime proiezioni è un risultato di tutto rispetto se si considera che nel 2013 i liberali non avevano superato la soglia di sbarramento del 5 per cento per accedere al Bundestag. Se Merkel non ride, Schulz piange lacrime amare: l’Spd esce ridotta al lumicino, con un 20 per cento, lontano dal 25,7 per cento di quattro anni fa (e considerato allora un risultato pessimo) e anni luce dal 38,5 per cento del 2002 o dal 34,2 per cento del 2005. Il 20 per cento può essere letto come una sonora bocciatura per l’esperienza della grande coalizione che, pur avendo portato avanti riforme di centrosinistra, toglie visibilità e identità al più antico partito di Germania.

Non a caso, subito dopo la pubblicazione degli exit poll, Martin Schulz commenta: “È la fine della della nostra cooperazione con la Cdu e della Grosse Koalition. La grande coalizione ha perso consenso nel paese e questo è il passo giusto per l'Spd che deve essere il più grande partito di opposizione”.

A compensare in parte le perdite dell’Spd, arrivano risultati confortanti per Linke e Verdi, rispettivamente all’8,9 per cento e al 9,4 per cento. I due partiti progressisti si rafforzano rispetto al 2013 ma se i social-comunisti non mutano la loro candidatura a incarnare l’opposizione di sinistra, il punto in più dei Verdi spingerà il partito ecologista verso il governo. Con liberali ed ecologisti in discreto spolvero e i socialdemocratici in crisi storica, una nuova grande coalizione non sembra in vista - anche se non è esclusa - mentre salgono le quotazioni di un’alleanza “Giamaica” nero (Cdu) – giallo (Fdp) – verde, dai colori della bandiera dell’isola nel Mar dei Caraibi.